“Crotone, l’aggressione finisce in sceneggiata: una ferita per la comunità”

NOTA STAMPA IGINIO PINGITORE Capogruppo Stanchi dei Soliti Crotone
L’episodio che ha visto protagonisti un sindaco e un consigliere comunale in un confronto degenerato fino alle mani è una ferita profonda per la nostra comunità e per la credibilità delle istituzioni locali.
I comuni sono il primo presidio della legalità e democrazia: il luogo dove il cittadino si riconosce, dove il confronto deve prevalere sulla violenza.
Quando la tensione travolge il rispetto reciproco, si incrina la fiducia dei cittadini. Basta un gesto impulsivo, una reazione scomposta, per offuscare anni di lavoro onesto e di servizio alla collettività.
Questo episodio impone una riflessione: senza una cultura del dialogo e dell’ascolto, la democrazia muore. Le differenze sono linfa vitale, ma solo il rispetto le rende costruttive.
È giusto soffermarsi sul gesto subito dal consigliere Ioppoli e sulle dimissioni del sindaco. I cittadini hanno espresso solidarietà sincera, ma il silenzio della giunta e dei consiglieri di maggioranza è assordante. Gli stessi che non hanno condannato i fatti, pur vantandosi d’aver intitolato una sala consiliare a Falcone e Borsellino, oggi chiedono al sindaco di ritirare le dimissioni.
Sappiamo come andrà: la polemica va spenta in fretta, e così, improvvisamente, sono diventati tutti pompieri.
Pompieri pronti a salvare non la dignità delle istituzioni, ma il sindaco, le poltrone e, forse, qualcos’altro.
Il primo è il sindaco facente funzione, Sandro Cretella, che minimizza l’accaduto e smentisce persino Ioppoli, autore della nota che ha portato alla luce i fatti. Ma se “le cose non sono andate così”, allora Ioppoli avrebbe mentito? Chi dice la verità: Cretella o Ioppoli? Uno dei due mente. O, più probabilmente, hanno trovato un accordo per spegnere l’incendio e salvare capra e cavoli.
Ancor più grave è che la sceneggiata non si sia consumata in Comune, ma nel palazzo della Provincia, contaminando anche un’altra istituzione, come fosse una sede di partito o la bottega del ciabattino.
Intanto sui social, i soliti profili falsi nati per la campagna elettorale tentano di ridimensionare tutto. Come se fosse normale. Come se calci e pugni tra un sindaco e il suo consigliere potessero essere giustificati. Anzi, qualcuno riesce persino a dipingere il sindaco come vittima.
Ma non dimentichiamolo: l’aggressore resta aggressore, e l’abuso di potere non si cancella con la propaganda.
E mentre il consigliere Ioppoli, nonostante le percosse, si è presentato in aula, gesto che può apparire dignitoso,  l’immagine, però, che traspare è quella di chi, garantendo il numero legale e votando come avrebbe fatto il sindaco, ha preferito la pace apparente alla verità.
Pace fatta, dunque? E come? Tenendosi le botte e recitando il vecchio adagio: “scurdamuce ‘o passato”.
Ma se vogliamo far passare per nobile questo gesto, il messaggio che ne esce è di ossequiosa sottomissione, non di dignità.
Il tutto ormai sfiora il grottesco: una farsa in cui chi colpisce diventa vittima e chi subisce finisce sotto accusa.
E non è la prima volta. Le aggressioni verbali ai consiglieri Cantafora e Giangotti sono ancora nella memoria di molti. E i soprusi subiti da altri, anche nei luoghi di lavoro, non vanno dimenticati.
Su questo, il sindaco negava i fatti, sussurrando in aula provocazioni enormi: “Denuncio, querelo!”. Ma era tutta propaganda: non era nelle condizioni di querelare o denunciare, poiché le menzogne non si possono portare nelle aule giudiziarie.
Non dimentichiamoci del Consiglio aperto che generò polemiche con i cittadini, quando si sentì gridare “Cacciateli fora!” contro chi si era permesso di fare delle semplici considerazioni.
Rammentiamo, inoltre, le querele contro chi osa criticare sui social, e la querela intentata ai danni del consigliere Meo, che nell’ultimo Consiglio comunale ha ricordato di essere stato assolto da ogni accusa. Ma di che cosa dobbiamo parlare ancora?
Qui non si tratta più di politica.
Si tratta di dignità, rispetto e legalità: tre parole che dovrebbero essere il fondamento di chi amministra la cosa pubblica.
Tre parole che oggi, purtroppo, a Crotone sembrano dimenticate.