Crotone, otto anni al poliziotto ritenuto la “talpa” dei clan

Massimiliano Allevato sarebbe stato una talpa delle cosche crotonesi. L’ipotesi sostenuta dalla Dda ha trovato una prima conferma (che tuttavia deve essere riscontrata negli altri due gradi di giudizio), nella sentenza con la quale il Tribunale di Crotone ha condannato ieri il 54enne sovrintendente di Polizia a 8 anni e 2 mesi di reclusione, infliggendogli una pena leggermente maggiorata rispetto agli 8 anni proposti dal pubblico ministero della Dda di Catanzaro, Paolo Sirleo. Il collegio giudicante presieduto da Massimo Forciniti (a latere Elvezia Cordasco ed Ersilia Carlucci) ha inoltre disposto nei confronti dell’agente, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e di rivelazione del segreto d’ufficio aggravata dal metodo mafioso, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, nonché la sospensione dall’esercizio della potestà genitoriale. Mentre a condanna scontata, Allevato dovrà sottoporsi ad un anno di libertà vigilata. Questo l’esito del processo a carico del poliziotto della Questura di Crotone sospeso dal servizio dopo essere finito agli arresti il 15 ottobre 2019. Quel blitz condotto dalla Squadra mobile evitò la nascente faida che da lì a poco sarebbe scoppiata tra le ‘ndrine di Isola, che erano pronte a farsi la guerra per il controllo dei traffici illeciti e degli affari illegali legati all’imposizione delle slot machines nei locali.

Inoltre, in seguito a quelle informazioni – è la tesi accusatoria che ora è stata accolta pure dai giudici – Devona (che è stato condannato a 10 anni di reclusione nel procedimento di rito abbreviato di “Tisfone”) in prima battuta sfuggì alle manette, per poi costituirsi due giorni dopo. “Amore mio” era il nome col quale Allevato aveva memorizzato il 37enne nelle chat telefoniche di “Telegram” intercettate dagli inquirenti. Ma c’è di più. Al poliziotto i magistrati di Catanzaro hanno addebitato l’aver rivelato al boss pentito Luigi Bonaventura detto “Gnegnè”, alcune notizie relative ad indagini che pendevano su di lui e una misura cautelare detentiva di cui il pentito era destinatario nell’ambito dell’inchiesta “Tramontana” per la quale Bonaventura si rese successivamente irreperibile… Fonte: Gazzetta del Sud