Cultura sfregiata, incuria e interessi personali: il caso Cosenza (di Francesca Canino)

di FRANCESCA CANINO
Giornalista

tratto da “Emergenza Cultura”

Minima, se non inesistente, è l’importanza che le istituzioni riservano alle opere d’arte del nostro paese, un grande patrimonio artistico spesso sconosciuto. Musei ed enti – ma soprattutto gli scantinati dei musei – custodiscono consistenti raccolte di reperti e manufatti artistici che potrebbero costituire un richiamo per studiosi, turisti e anche residenti. Negli ultimi anni, il patrimonio artistico italiano ha subito i contraccolpi nefandi delle istituzioni, guidate spesso da persone impreparate e disinteressate, come emerge dagli ultimi articoli pubblicati su questo sito. E la tendenza nazionale sulla tutela del nostro patrimonio culturale non può non riflettersi anche a livello locale. Come a Cosenza, l’antica Atene della Calabria, oggi divenuta una perfetta città dei balocchi, in cui lentamente si sta distruggendo un patrimonio millenario.

Esamineremo, per ora, solo alcuni casi, iniziando dal sequestro, operato esattamente un anno fa dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale, di un sito archeologico che sorge nel cuore della città vecchia.

Novembre 2016: in seguito a numerose segnalazioni sullo stato di degrado dell’area denominata piazzetta Toscano pervenute ai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale (NTPC), la Procura della Repubblica di Cosenza dispose il sequestro probatorio del sito ‹‹bene culturale sottoposto a vincolo tutorio – scrivevano i carabinieri del Nucleo in un comunicato – ubicata nel centro storico di Cosenza, di proprietà comunale, un’area di 1500 mq dove insistono i resti di strutture murarie di abitazioni di epoca brettia del IV – III sec. a.C. nonché i resti di una domus romana di età imperiale del II – III sec. d.C., decorata con pavimenti a mosaico e intonaci policromi››. Non si fecero attendere le rituali reazioni dell’amministrazione comunale, chiamata in causa perché proprietaria del bene, che promise interventi sull’installazione se avesse trovato finanziamenti adeguati e assicurò alla Soprintendenza e al Nucleo TPC la sua collaborazione. Spenti i riflettori, l’area è stata come al solito dimenticata, nonostante l’interesse mostrato finanche dalla direzione generale del Mibact, che nei mesi antecedenti al sequestro scrisse alla Soprintendenza cosentina sottolineando «la difficile situazione in cui versa il patrimonio archeologico di Consentia, quale ad esempio l’area della domus romana di piazzetta Toscano, che è stata sequestrata dalla Procura in quanto il sito versa, già da diverso tempo, in uno stato di gravissimo degrado, con rifiuti di vario genere ed erbe infestanti che hanno invaso le strutture murarie».

Oggi, a distanza di un anno dal sequestro, le emergenze archeologiche sono completamente offuscate dai vetri appannati, i nastri di delimitazione apposti dai carabinieri del Nucleo si vedono appena e l’oblio è di nuovo calato sulle vestigia romane. Sono le contraddizioni di una città ad alto interesse storico-artistico, in cui si investe molto per le leggende e nulla per la storia, anzi si lascia nei rifiuti e nell’abbandono totale un luogo di alto valore archeologico. Stessa sorte è riservata a tutto il cadente centro storico, tra i più estesi e belli d’Italia.

Novembre 2015: nel corso dei lavori nella centralissima piazza Fera, emerse una pietra miliare in ottimo stato di conservazione, risalente presumibilmente agli anni ‘30. Non fu possibile conoscere esattamente la data e il luogo preciso del ritrovamento, poiché nessuna notizia ufficiale pervenne dal responsabile dei lavori. Il ritrovamento fu reso noto dai social. La pietra, inoltre, venne spostata senza studiare prima il contesto, distrutto per sempre.
Fu sollevata, in questa occasione, la questione dell’importanza che assume la presenza di un archeologo durante i lavori di scavo che in questo caso non fu mai nominato. I lavori proseguirono senza mai verificare l’eventuale presenza di altri segni del passato. La Soprintendenza, in seguito, impose l’obbligo di custodia della pietra, in attesa di decidere, insieme all’amministrazione comunale, dove sistemarla, considerato che, secondo l’art.10 del Codice dei beni culturali, la pietra può essere definita ‘bene culturale’, poiché “presenta interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”. Oggi, però, nessuno sa dove si trovi.

Settembre 2015: lo storico palazzo della Provincia ospitò per settimane una troupe cinematografica che stava girando un film. Nessuno della troupe mise in atto le dovute precauzioni che la storicità del luogo imponeva, né chiese alla Soprintendenza le autorizzazioni per girare il film tra le numerose opere d’arte del palazzo. E così si provocò un consistente danno a un quadro del 1873, realizzato da un quotato artista locale. Qualcuno della troupe, per nascondere il quadro alle telecamere, avrebbe pensato di coprirlo con un telone e di fissare quest’ultimo sul dipinto con il nastro adesivo. La rimozione del nastro rovinò la tela, portando via lo strato dei colori. Il danno compromise gravemente il quadro, danneggiando la parte degli occhi, cioè una parte vitale dell’opera e nessun intervento di restauro potrà mai più restituirne la piena leggibilità.

Il regista del film, Massimo Scaglione, in una intervista rilasciata al Quotidiano del Sud, assicurò che si sarebbe fatto carico del restauro, negando, però, che a provocare il danno fosse stata la troupe. La Soprintendenza effettuò diversi sopralluoghi, chiedendo al funzionario del patrimonio della Provincia la dovuta collaborazione per restaurare l’opera, ma ad oggi la faccenda pare essere finita nel dimenticatoio. Nessuno ha più sentito parlare del quadro danneggiato, finito verosimilmente in qualche magazzino alla mercé di topi e polvere, nonostante i numerosi articoli apparsi sulla stampa locale nei mesi successivi. I tempi si sono allungati a dismisura e il restauro dell’opera, le cui spese sarebbero dovute ricadere sugli esecutori materiali del danno, probabilmente non sarà più fatto.
Eppure, i casi in questione hanno riempito, quasi mensilmente, le colonne dei giornali cittadini, senza alcun risultato. Esempi di incuria che rappresentano l’emblema di un paese allo sbando.