Cutro, in aula rinnegò il clan. Ora Gianluigi Sarcone impugna la condanna

Davanti alla Corte d’appello di Bologna aveva annunciato che non avrebbe fatto ricorso in Cassazione in caso di condanna ed aveva anche preso le distanze dalla ‘ndrina della quale aveva fatto parte chiedendo scusa. Ma al contrario di quanto affermato adesso il 50enne Gianluigi Sarcone, originario di Cutro ma residente a Bibbiano, esponente di spicco del ramo emiliano della cosca cutrese collegata ai Grande Aracri, s’è rivolto alla Suprema Corte per impugnare la sentenza dei giudici di secondo grado, che lo scorso 25 gennaio l’hanno condannato a 14 anni e 6 mesi di reclusione per associazione mafiosa, in uno dei rivoli processuali scaturiti dall’inchiesta Aemilia scattata il 28 gennaio 2015. La posizione di Sarcone, fratello di Carmine e Nicolino (quest’ultimo considerato il capo indiscusso del locale di Cutro sulle rive del Po), era stata stralciata dal filone principale dell’appello di Aemilia, conclusosi il 17 dicembre scorso con 91 pene inflitte, in seguito alla ricusazione di un componente del collegio chiesta e ottenuta dall’imputato.

Il suo principale accusatore, il pentito Antonio Valerio, aveva definito Sarcone uno dei “quattro amici al bar” capaci di tramare, commettere violenze, e condizionare i testimoni del processo anche dal carcere (gli altri tre accusati sono Gianni Floro Vito, Sergio Bolognino e Pasquale Brescia, tutti coinvolti nel procedimento Aemilia). Il giorno della sentenza il 50enne aveva inviato una lettera alla Corte d’Appello con la quale si era dichiarato colpevole dell’accusa di aver fatto parte dell’associazione mafiosa emiliana legata alla casa madre di Cutro dal 2004 al 2015 (quando venne arrestato), per poi chiedere scusa e dissociarsi dal gruppo criminale che secondo i giudici felsinei fa riferimento al boss Nicolino Grande Aracri. Inoltre. in quell’occasione, l’imputato aveva negato di essere stato un organizzatore del clan dal 2015 al 2018, sebbene per la Dda di Bologna avrebbe detenuto il comando dal carcere al posto del fratello Nicolino, recluso in isolamento al 41 bis. “Incomincio con il prendere le distanze dell’associazione. Me ne dissocio pubblicamente”: questo l’incipit della missiva che Sarcone aveva fatto recapitare al collegio, facendo ipotizzare la rottura del muro di omertà che circonda gli associati legati da rapporti familiari. Infatti, nelle motivazioni della sentenza d’appello, i giudici avevano sottolineato che neanche gli arresti di Aemilia fossero riusciti a scalfire il legame criminale tra i picciotti finiti in manette. “Non sono e non sono mai stato un organizzatore e men che meno un promotore” aveva poi rimarcato il 50enne fino a pentirsi del suo passato di ‘ndranghetista. “Non trovo e non so più dare un significato alla mia esistenza. Ho commesso un grave errore a cui spero di rimediare in futuro e restituire alla mia famiglia e alla società civile una persona migliore”. Fonte: Gazzetta del Sud