Danno da 2 milioni: i finanzieri da Arcuri

(Valeria Di Corrado per “il Tempo) –

Va avanti come un treno l’ inchiesta della Corte dei conti del Lazio sugli emolumenti «extra» che avrebbe in debitamente percepito Domenico Arcuri nella veste di amministratore delegato della società Invitalia, partecipata al cento per cento dal ministero dell’ Economia e delle Finanze.

Giovedì i finanzieri del nucleo di Polizia economico -finanziaria di Roma, su ordine del vice procuratore Massimo Lasalvia, hanno notificato all’ attuale commissario straordinario per il potenziamento delle infrastrutture ospedaliere necessarie a far fronte all’ emergenza Covid-19 un atto di costituzione in mora, con il quale si chiede ad Arcuri e ad altre 14 persone di restituire entro 10 giorni all’ erario 1,9 milioni di euro. Con questo atto si interrompe infatti il termine della prescrizione, che nella giustizia contabile è di 5 anni.

L’ indagine è partita guando, il 7 dicembre 2016, la sezione del Controllo sugli enti della Corte dei conti ha trasmesso alla procura regionale del Lazio le criticità riscontrate dal controllo eseguito dai magistrati sulla gestione finanziaria relativa all’ anno 2014 dell’ Agenzia nazionale per l’ attrazione degli investimenti e sviluppo d’ impresa spa (Invitalia).

Secondo la nuova normativa, infatti, tale società avrebbe dovuto adeguare il compenso dell’ amministratore delegato all’ 80% del limi te massimo retributivo di 240.000 euro annui, cioè di 192.000 euro annui.

Allo stesso modo avrebbe dovuto adeguare il compenso del presidente del consiglio di amministrazione al limite massimo del 30% dell’ ad, cioè a 57.600 euro. È emerso invece che Arcuri, amministratore di Invitalia dal lontano 2007 e tutt’ oggi in carica, nel corso del 2014 abbia avuto un compenso complessivo pari a 617mi1a euro e che l’ ex presidente del cda Giancarlo Innocenzi Botti per quell’ anno ab bia percepito 151mila euro, tra indennità e rimborso spese.

Entrambi, quindi, avrebbero sforato il tetto massimo previsto dalla legge. E lo avrebbero fatto anche l’ anno precedente e gli anni successivi.

Eppure, in un’ intervista del 26 marzo 2014 a «La Repubblica», Arcuri si era vantato di essere uno dei pochi manager pubblici in Italia ad essersi ridotto lo stipendio, riparametrandolo ai risultati raggiunti: «Se si accetta di lavorare per la cosa pubblica si deve accettare di prendere un po’ di meno». Alla domanda specifica del giornalista su quanto guadagnasse in quel momento, Arcuri rispose: «Trecento mila euro l’ anno, tutto compreso».

Ma gli accertamenti dei magistrati contabili della sezione Controllo hanno dimostrato che prendeva esattamente il doppio di quanto dichiarato nell’ intervista.

L’ andazzo non è cambiato nemmeno negli anni successivi: nel 2015 Arcuri aveva percepito 419mi1a euro complessivi; mentre Innocenzi Boni 156mi1a. Nel 2016, il primo sempre 419mi1a euro; il secondo 127mi1a.

Nel 2017 l’ attuale commissario al Co vid aveva guadagnato 265mila euro (a fronte di un limite di 192mi1a) e l’ ex presidente del cda 109mi1a (a fronte di un limite di 57.600 euro). Insomma, dal 2013 al 2017, Ar curi avrebbe percepito 1,4 milioni di euro in più di quanto prevede la legge, Innocenzi Boni 323mi1a euro in più e il presidente pro -tempore Claudio Tesauro 120mi1a euro in più.

Per cui si arriva a un presunto danno erariale, contestato dai pm, pari a 1.911.160 euro addebitabile ai consiglieri del cda di Invita lia, ai membri del consiglio sindacale della società chiamati a dare il loro parere sulle remunerazioni e al responsabile della direzione VII del Dipartimento del Tesoro, Francesco Parlato, che avrebbe omesso i dovuti controlli.

Due dei sindaci chiamati a rispondere del danno rico prono lo stesso incarico in Mediocredito Centrale -Banca del Mezzogiorno, società acquisita da Invitalia nell’ agosto 2017. Un mese dopo è stato nominato amministratore delegato Bernardo Mattarella, nipote del Presidente della Repubblica.

Consultando oggi il sito di Invitalia non viene riportata l’ attuale retribuzione di Arcuri, che ad aprile si era scagliato contro le «sentenze dailiberisti sul divano con un cocktail in mano», riferendosi a chi rivendicava che il prezzo finale della mascherine doveva essere fissato dal mercato e non dallo Stato.