(di Lorenzo Giarelli – ilfattoquotidiano.it) – Elly Schlein è diventata leader del Pd poco più di due anni fa. Forse pochi per ribaltare un partito con una simile cartella clinica, ma di certo abbastanza per pretendere che il tanto sbandierato “rinnovamento” portasse a qualcosa di diverso dalla fotografia degli ultimi due giorni: Nazareno in difesa di Beppe Sala in nome del “garantismo” e incapace di dichiarare il fallimento del modello Milano; accordo fatto con Vincenzo De Luca per le Regionali in Campania e ovazioni per il figliol prodigo Matteo Renzi, riaccolto con baci e abbracci alle Feste dell’Unità. Ritorno al futuro.
A taccuini chiusi, i dem allargano le braccia. Dicono che i tre casi sono diversi, ma che sono ugualmente “rospi che è necessario ingoiare” in vista del futuro. Operazioni di equilibrismo degne di Philippe Petit – il funambolo che camminò tra le Torri Gemelle – necessarie per spiegare una strategia che tutto richiama meno l’annunciata lotta ai cacicchi. Già, perché i tre sistemi di potere – Milano, la Campania e il “giro” renziano – vengono blanditi, nella speranza poi di scenderci a patti, piuttosto che affrontati.
Ieri una delegazione del Pd locale, guidata da Silvia Roggiani e Alessandro Capelli, ha incontrato Beppe Sala. Il sindaco per ora resta al suo posto, mentre le dimissioni del suo assessore Giancarlo Tancredi sono imminenti.
La linea del partito è un omaggio al “ma anche” veltroniano: stiamo con Sala, la giunta vada avanti, ma sull’urbanistica bisogna cambiare. Lo ripete Schlein: “Ribadiamo che il Pd è al fianco del sindaco Sala, che ho sentito per esprimergli direttamente la nostra vicinanza, e continua a sostenere il lavoro che l’amministrazione farà nei prossimi due anni. Con la consapevolezza che le sfide per la città, dalla transizione ambientale all’inclusione sociale, sono diventate più pressanti e urgenti e richiedono segnali di innovazione e cambiamento”. Idem Capelli: “Servono cambiamenti concreti”. Parole utili soprattutto a preparare la futura campagna elettorale, quando il Pd non potrà sconfessare il sindaco uscente ma dovrà comunque rivendicare di aver chiesto un cambio di passo.
Su De Luca, nel partito è più la soddisfazione per aver evitato una guerra interna che il peso di dover scendere a patti con il governatore. La strada della candidatura spianata a vantaggio di Roberto Fico costerà posti in giunta e nomine per gli uomini di De Luca, ma i più vicini a Schlein parlano di “passaggio obbligato”, persino di “esame di maturità”.
Coi cacicchi, insomma, serve diplomazia. E De Luca sa stare al mondo, al punto che ieri ha prima polemizzato con Fico (“Dov’eri quando la Regione Campania combatteva con il governo che bloccava i Fondi di coesione?”), salvo poi confermare l’assenza di veti sui 5Stelle: “Quando si ragiona in termini di coalizione è chiaro che non possono esserci pregiudiziali. Io non faccio il vigile urbano, io pongo i problemi che riguardano cittadini e imprese. Nessuna pregiudiziale nei confronti di nessuno”.
Poi c’è Renzi. L’atteggiamento “testardamente unitario” di Schlein ha prodotto un riavvicinamento oltre le migliori aspettative dell’ex premier: in perenne difficoltà nei sondaggi, rientrando nel centrosinistra potrà sperare di strappare qualche seggio anche alle prossime Politiche.
Nel frattempo, ci pensano i dirigenti dem ad agevolare il processo di accettazione tra la base. Gianni Cuperlo, con cui pure non sono mancati gli scontri, due sere fa lo ha accolto alla Festa dell’Unità di Melzo (Milano) dandogli atto della “profonda lealtà” che ha sempre mantenuto. Anche qui, a sentire gli schleiniani, c’è una spiegazione razionale: “È l’unico modo per battere la destra”. Gli elettori del Pd, cui notoriamente non manca il pelo sullo stomaco, potrebbero non fare una piega. Meno entusiasta sarebbe il resto della coalizione. Ma ci sarà tempo, per il momento meglio tenersi buoni cacicchi, sindaci e vecchi nemici.









