De Magistris ricorda la “profezia” di Chiaravalloti e la mancata “bonifica” della magistratura (corrotta) calabrese

Stamattina sulla pagina FB di Luigi De Magistris campeggia un post che, purtroppo, è l’emblema della massomafia calabrese e della sua ormai leggendaria impunità. De Magistris ha postato uno stralcio della trasmissione “Anno Zero” di Michele Santoro del 2007 (chiaravalloti anno zero) nella quale viene rievocata l’ormai celeberrima intercettazione di Giuseppe Chiaravalloti, ex magistrato ed ex presidente della Regione Calabria, che parla di De Magistris (che lo sta indagando) con la sua segretaria.

Lo chiama “lui”, “il poverino”, “il pagliaccio”. È sempre ben informato sulle mosse del magistrato e sulle scadenze giudiziarie: “Oggi scade per lui il termine per chiedere la proroga…”. A volte si lascia andare: “Questa gliela facciamo pagare”. Oppure: “Lo dobbiamo ammazzare. No, gli facciamo cause civili per risarcimento danni e ne affidiamo la gestione alla camorra napoletana… Quello che voglio non sono i soldi!”.

Chiaravalloti

La segretaria, temendo di essere intercettata, cerca di frenare l’ex presidente: “Ma non dirlo neanche per scherzo, per carità di Dio! Mettiti nei panni di chi è costretto ad ascoltarci…”. E Chiaravalloti: “Poverino, è bene che sappia queste cose, la cosa bella è che abbiamo detto tutto alla luce del sole… Saprà con chi ha a che fare, mi auguro che qualcuno ascolti e glielo vada a riferire… Siamo così tanti ad avere subito l’azione che, quando esploderà la reazione, sarà adeguata!”.

Ma ecco il post integrale di Luigi De Magistris

Post non personale, ma che attiene alle libertà, alla democrazia, alla lotta alla corruzione e al crimine organizzato, alla giustizia. Nella intercettazione sopra riportata, il più potente magistrato calabrese fino a non pochi anni fa, poi divenuto anche presidente della Regione #Calabria, emetteva nei miei confronti una profezia ahimè tristemente avveratasi.
Poche settimane fa ancora altri due episodi che evidenziano quanto attuale sia la profezia di tipico stampo massomafioso e quanto ancora poco sia stato fatto per “bonificare” la magistratura calabrese da collusioni che devastano il tessuto democratico di una terra bellissima.

Il primo episodio: sono stato rinviato a giudizio per diffamazione per aver detto – fatto assolutamente vero e provato in sede giudiziaria in via definitiva – che le indagini “Poseidone” e “Why Not”, di cui ero titolare da pubblico ministero presso la Procura di Catanzaro, mi furono sottratte illecitamente. Non dall’ala militare della ‘ndrangheta, ma da chi doveva tutelarmi. Non faccio nomi nella trasmissione televisiva incriminata – Piazzapulita – LA7 di Corrado Formigli – ma cito il Procuratore della Repubblica e il Procuratore Generale facente funzioni come coloro che mi tolsero illegalmente le indagini che riguardavano reati in cui erano coinvolti – nella gestione della spesa pubblica – persone delle istituzioni e della politica, professionisti, imprenditori, uniti dal vincolo della massoneria deviata.
La querela contro di me viene presentata dal Procuratore Aggiunto di #Catanzaro dell’epoca, mai citato da me in trasmissione, mai responsabile formale delle citate sottrazioni.
Questo magistrato, che è stato sottoposto ad indagini per fatti corruttivi dalla Procura della Repubblica di Salerno, presenta la querela presso la Procura della Repubblica di Lamezia Terme dove il Procuratore della Repubblica attuale è stato indagato e perquisito insieme a lui sempre nell’ambito delle indagini della Procura della Repubblica di Salerno. Ed il PM che ha svolto le indagini, citandomi a giudizio, è la figlia di un noto ex magistrato calabrese, poi passato in politica e divenuto anche sindaco di Vibo Valentia, anche lui agli atti delle indagini della magistratura salernitana. Una indagine da archiviare per manifesta infondatezza ma che guarda caso arriva a processo. Tutto apparentemente normale nel silenzio generale.

Il secondo episodio: vengo condannato in sede civile presso la Corte di Appello di Catanzaro per diffamazione nei confronti del marito di un magistrato di Catanzaro, anche qui per aver detto la verità e dopo essere stato assolto in via definitiva in sede penale a Salerno; in più la condanna civile era impossibile, in questa vicenda, perché le mie dichiarazioni erano state rilasciate quando ero deputato al Parlamento Europeo e quindi coperte da immunità. Avevo forse osato dire che questo magistrato, che in sentenza aveva anche usato frasi gravi e offensive nei miei confronti, sintomo di evidente inimicizia e conflitto di interessi, si sarebbe dovuta astenere dal trattare il processo “Why Not” in quanto avevo indagato e perquisito il marito (presso l’abitazione dello stesso magistrato) e per il quale era stata anche chiesta la misura cautelare, per fatti gravi nel settore della sanità.
Inoltre, il nome del marito e della società del marito era agli atti del procedimento “Why Not” per rapporti con uno dei principali indagati: Antonio Saladino. Pago per aver detto la verità. Anche in questo caso nel silenzio generale affinché tutto scorra come apparente normalità giudiziaria.

Per non parlare di gravi fatti delittuosi che avevano riguardato anche il padre del predetto magistrato, difeso dall’immancabile Avvocato Giancarlo Pittelli. Il deus ex machina, o meglio uno dei tanti, del mio allontanamento illecito dalla Calabria con contestuale sottrazione delle funzioni di pubblico ministero, ad opera dei killer della legalità formale. Ma ora Pittelli è agli arresti per mafia. Il tempo è galantuomo, la magistratura calabrese anche, ma purtroppo non sempre. Loro non mollano, ma nemmeno io. È la lotta tra legalità formale impregnata di corruttela e la giustizia. Ho sempre combattuto perchè ci sia un giorno in cui la giustizia si vestirà anche di legalità formale.