Gianni Brera dedicò molti articoli a Pelè, la stella sudamericana. Immensa è l’eredità che il poeta ha lasciato al giornalismo, non solo sportivo e alla lingua italiana. Ma c’è di più. “Il Pelè dei giornalisti”, ha voluto definirlo solo qualche anno fa l’ex grande centravanti e commentatore Josè Altafini, compagno di squadra di Pelè nella Selecao brasiliana Campione del Mondo nel 1958.
Darwin Pastorin, uno dei giornalisti sportivi più importanti del nostro Paese, tra l’altro con origini brasiliane, ha scritto: “… Molto, moltissimo, ti dobbiamo noi cronisti, cresciuti all’ombra della tua scrittura fitta, dei tuoi neologismi e delle tue invenzioni verbali: “Rombo di Tuono” Gigi Riva e Gianni Rivera “abatino”, “centrocampista” e “libero”, “atipico” e “intramontabile”. Hai saputo darci una lingua, immagini, parole, aggettivi. Il tuo calciolinguaggio continua ad accompagnare la nostra scrittura, i nostri commenti, la nostra nostalgia. Ero un giovane avvolto dai sogni quando leggevo le tue cronache ineguagliabili e le tue risposte folgoranti ai lettori sul settimanale, formato giornale, “Guerin Sportivo”, che poi mi avrebbe accolto, diventato rivista, con direttore Italo Cucci, nelle sue stanze a San Lazzaro di Savena: era il 1976, avevo 21 anni e cominciavo il mestiere della mia vita. Leggevo e rileggevo le tue narrazioni: raccontavi calciatori e atleti, Meazza e Livio Berruti, gli eroi omerici del ciclismo, Coppi e Bartali. Ma non era solo questo. Segnavi la differenza facendo “giocare”, nel tuo immenso e infinito prato verde letterario, Hemingway e Fitzgerald, il mio Guido Gozzano: il suo “Donna: mistero senza fine bello!” diventò il tuo “Calcio: mistero senza fine bello!”. E poi: Sturm und Drang e Weltanschauung. Fino al tuo capolavoro: far accompagnare un gol di Pelé con il Santos dal Leopardi de “La sera del dì di festa”: “Dolce e chiara è la notte e senza vento”…”.
Quando Gianni Brera usò Leopardi per descrivere un dribbling di Pelé
Per ricordare il Re del Calcio, prendiamo in prestito le parole di un altro fuoriclasse, Gianni Brera, che in uno dei suoi pezzi più belli e poetici descrive Pelé usando i versi de La sera del dì di festa, di Giacomo Leopardi. Era la finale di Coppa Intercontinentale del 1962, tra Benfica e Santos.
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Dunque andiamo a Lisbona. Spira vento da sud-ovest e io domando ai portoghesi: «Par piasé, cal vent chì ‘l sarà mia sciròk!?». «Nao che nao l’è scirok» mi rispondono «parché ‘l sciròk u ven d’l’Afriché.»
«Ben, gli dico, quast chì l’è anca pegg dal sciròk parché ‘l porta la spussa ch’ho sentì a Giacarta gnand indré d’l’Australia; ch’la spussa d’romantich e d’muffa che Pierre Loti l’disia ch’l’era ‘l profum di tròpich, e chissà parché s’at taca la majetta a la pell e t’vorissat faà la doccia tutt i moment.»
«Nao, nao ch’l’è nao sciròk» insistevano i portoghesi, e qualche volta erano di Reggio Emilia, qualche altra volta delle parti del povero Coppi. Parlando pavese schietto andavo benissimo: così ho comperato le Lusiadi in edizione di lusso e la regalo al mio amico Rico Banderal, che sicuramente non ha mai immaginato di poter leggere Camoens in lingua.
Pelé mi incanta come non ha mai potuto nei giorni più splendidi. Capisco perché i brasiliani prendano cappello alla sola idea di vederlo emigrare; perché gli abbiano stampato l’orma del piede sulla copertina del libro Eu sou Pelé; perché chiedano sogghignando un miliardo. Sono onesti. Se per Morbello sono stati chiesti e ottenuti novanta milioni, per Pelé ci vuole un trilione, cioè mille miliardi.
È alto 1,73, mi pare; traccagnotto e potente, ma nello stesso tempo agile e sciolto, come i grandi atleti olimpici che corrono soltanto. Batte di sinistro e destro, sempre mirando. Dribbla con movenze armoniose, sornione, plastiche, senza sculettare o danzare come tanti. Rifiuta il numero di dribbling (el pase) come una manifestazione deteriore e inutile.
È un vero classico. Dolce, chiara è la notte e senza vento. Pronunciate le comunissime parole di questo che è fra gli endecasillabi di più limpida trasparenza. Continuate: e cheta sovr’ai tetti e dentro gli orti… È mia nonna che parla affacciandosi nottetempo alla finestra. Mia nonna analfabeta e grande. Posa la luna e di lontan rivela – serena ogni montagna. Sapete che è Giacomino: ha il Parnaso fra le scapole, e i coglioni dicono che è gobbo.
Bene: adesso guardate Pelé. Dolcechiaré: ha alzato il piedino prensile: lanotte: la palla si è fermata al primo contatto e senza vento: ricade ammansita sull’erba: un piedino prensile l’accarezza mentre l’altro spinge: echetasovraitetti: accorreva un avversario: si è coricato come un birillo: tettiposalà: avanza un altro: piroetta; lalùna: ecco un compagno smarcato: oppure, ecco una nuova battuta di dribbling: si corica il secondo birillo: o magari no, questa volta il birillo non si corica e vince il tackle: Pelé ha sbagliato il dribbling: càpita: anch’io ho dimenticato: sovr’ai tetti e dentro gli orti. Ripetizione: posalalunedì lontàn rivèla: ora parte Pelé in progressivo: è Berruti che vòlita fìngendo di allenarsi. Serenognì montàgna. Correndo, senza sforzo apparente, ha fissato i bulloni in terra ed ha scaricato fulmineo la pedata: ha mirato, si è visto: mentre correva ha mirato e battuto a rete. Serenognì montàgna. Punto. Gol.
Mi dico di non aver mai visto nulla di simile. Gli dedico epinici. Mi esalto e lo esalto. L’ho veduto far questo: coricare tre birilli e battere di sinistro sul portiere: palla che schizza verso il fondo: prima che esca, continuando la corsa, Pelé compie un gran balzo e ricade col sinistro sulla palla: la colpisce a volo, in modo che s’infila tesa e bassa in diagonale. Sono tutti a guardarlo allibiti. Quarta rete del Santos e fa quattro a zero. I lusitani, benché abbiano pagato il biglietto, scoppiano in singhiozzanti applausi. O Gòngora ti cheta, ch’io non son poeta. Se avete capito «dolce chiara è la nottesenzavento» non ho bisogno di proseguire. Pelé vede il gioco suo e dei compagni: lascia duettare in affondo chi assume l’iniziativa dell’attacco e, scattando a fior d’erba, arriva a concludere. Mettete tutti gli assi che conoscete in negativo, poneteli uno sull’altro: stampate: esce una faccia nera, non cafra: un par di cosce ipertrofiche e un tronco nel quale stanno due polmoni e un cuore perfetti: è Pelé. Ma ce ne vogliono molti, di assi che conoscete, per fare quel mostro di coordinazione, velocità, potenza, ritmo, sincronismo, scioltezza e precisione.