“Ferragosto, una festa sacra ma negata a tutti gli sfruttati”

(DI ANTONELLO CAPORALE – Il Fatto Quotidiano) – Ferragosto è la festa più proletaria che possa dirsi. È il vero Capodanno dei lavoratori. Con Ferragosto viene celebrato il diritto al riposo, solennizzato, infiocchettato. Insomma diviene regola, norma, imposizione di legge.

Professoressa Elisabetta Moro, Ferragosto è dunque una specie di Sol dell’avvenire ante litteram. Altro che primo maggio.

È una festa che viene dall’impero romano, le feriae augusti sanciscono la fine dell’anno agrario. La data cristianizzata poi con le celebrazioni dell’Assunta, tra il VII e l’VIII secolo, scala le vette delle festività: Natale, Pasqua e naturalmente Ferragosto.

Un giorno in cui tutto chiude, tutto si ferma. Ma quando effettivamente nasce il diritto al riposo?

Dobbiamo dire ancora una volta grazie a Pericle, V secolo avanti Cristo. In uno dei suoi celebri discorsi spiega la necessità di realizzare momenti di riposo “per ricreare lo spirito dei cittadini”. L’obbligo di staccare la spina sarà poi codificato nella nostra Costituzione all’articolo 36 (“Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie retribuite e non può rinunziarvi”) e poi dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (articolo 24).

Naturalmente ai tempi di Pericle erano esclusi coloro che non avevano la cittadinanza, gli schiavi, gli stranieri.

Naturalmente anche oggi un numero impressionante di lavoratori precari, sottopagati o sfruttati o soltanto allineati alla sudditanza del potere del ricatto vedono amputato questo diritto fondamentale, il codice genetico della democrazia del lavoro.

Senza riferire di tutti coloro che rimangono senza salario nei periodi di vacanza.

Un’enormità, un fatto ancora gravissimo.

Chi sono i primi in Europa a codificare il diritto alle ferie?

I bancari inglesi. Col Bank Holiday Act del 1871 si vedono riconosciuti alcuni giorni di riposo al di fuori delle feste comandate.

Oltre agli inglesi?

I francesi che nel 1936 ottengono una legge votata dall’Assemblea nazionale che prevede quindici giorni di ferie pagate per tutti i lavoratori salariati.

Un Ferragosto al cubo. La prima prova della felicità.

Una vera rivoluzione.

In Lombardia il padrone dà il Ferragosto (dà el faravòst). Un fuori busta da spendere nel giorno della vacanza. In Piemonte gli edili issavano a luglio nel cantiere un ramo, chiamato pianta del faravòst, per ricordare all’imprenditore che da lì a poco avrebbe dovuto sganciare il soprassoldo.

Il Ferragosto è la vera giornata dei lavoratori, e libera le strade, le piazze, i cunicoli, le campagne. È anche la festa dell’high society. È tributo corale, popolare, assolutamente rispettato.

Una festa sostanzialmente inviolabile.

Ecco, mi verrebbe da dire proprio così: inviolabile, inattaccabile. Nasce come la conclusione del ciclo annuale del lavoro, lo spartiacque tra ciò che si completa e ciò che inizia.

Abbiamo detto che nella hit parade Ferragosto è dietro solo al Natale. Quale festa perde invece posizioni?

La ricorrenza dei morti. L’idea della vitalità perpetua, del vivere sempre più a lungo e sempre meglio, allontana la consapevolezza della fine della nostra esperienza terrena. Siamo impauriti dalla prospettiva e in qualche modo respingiamo il prezzo della nostra condizione umana. E dunque rifiutiamo di celebrare quel giorno.

Vorremmo che fosse sempre un Ferragosto.

Vorremmo sì.