(DI GAD LERNER – ilfattoquotidiano.it) – L’indefesso compagno Marco Minniti, che un tempo si candidò perfino alla guida del Pd, dacché gli equilibri del potere pendono a destra non fa che prodigarsi in sperticati elogi all’indirizzo di Giorgia Meloni: “Può avere il ruolo della Merkel per spezzare lo stallo africano”, profetizzò argutamente su Libero, proprio alla vigilia del colpo di stato in Niger; dall’alto della sua esperienza ha benedetto la politica estera della premier in materia di governo dell’immigrazione.
Ansioso di presentarsi come statista al di sopra delle parti, retribuito per guidare una delle fondazioni della principale azienda produttrice di armi, ieri sul Corriere della Sera il nostro ha voluto rassicurarci: sul trattamento dei migranti, “la visione del presidente Mattarella e quella di Giorgia Meloni non sono in conflitto strategico”. Insomma chi avesse riscontrato dissonanze fra il discorso di Rimini del capo dello Stato e il decreto Cutro del ministro Piantedosi, è vittima di un abbaglio.
Talmente univoca è la visione del rapporto da costruire con la sponda Sud del Mediterraneo, da comprendervi tutti quanti. Perché no? Anche Elly Schlein, purché la smetta di accusare di disumanità il governo che ha introdotto quello che lei chiama “reato di solidarietà”. Ispirate dallo spirito bipartisan di Minniti, maggioranza e opposizione dovrebbero insieme varare un nuovo piano per l’Africa. Eh sì perché l’esperto Minniti se n’è accorto: “L’Europa sta per perdere l’Africa e sarebbe un disastro per lo squilibrio demografico e per la sicurezza del pianeta”. Cotanta lungimiranza gli ha fatto scoprire, beato lui, “uno spiraglio importante” per assumere una “responsabilità condivisa”, con un dibattito “magari aspro” in Parlamento. Gli daremmo retta più volentieri se nella fretta non si fosse dimenticato di spendere almeno una parola sul fiasco del “modello Minniti” con cui stiamo facendo i conti.