Rino Gattuso è stato presentato stamattina ai giornalisti a Coverciano. Di seguito, le domande e le risposte della conferenza stampa.
Ha più la speranza o la convinzione di riportare l’Italia al Mondiale?
“La convinzione, perché abbiamo a disposizione giocatori importante, alcuni nei loro ruoli sono nei primi 10 al mondo. Abbiamo una squadra forte, ma ripeto: squadra. Non pensiamo ai singoli giocatori. Quando mi hanno chiamato non ho esitato un istante”.
Prima avevamo un’identità italiana. Ma ora il calcio è cambiato: cos’è ora?
“Quest’anno nel campionato italiano hanno giocato il 68% di stranieri e il 32% di italiani e questo dato ci deve fare riflettere. Dobbiamo dare la possibilità ai nostri giovani di crescere, il cambiamento è questo. Ritroviamo entusiasmo, la parola paura non deve esistere”.
In Nazionale dovrai accettare qualche compromesso o sarai il Gattuso di sempre?
“Tutti pensano a Gattuso che corre, grinta… Io penso che le squadre che ho allenato hanno espresso un buon calcio. Mi hanno detto di non dirlo ma lo dico: oggi un Gattuso nella mia squadra, col casino che faceva, non lo metterei in campo, per come vedo ora il calcio. Mi piace aggiornarmi e parlare di calcio, so che calcio mi piace. Bisogna entrare nella testa dei giocatori, non tutti sono uguali. Oggi il calciatore è diverso, è molto più professionista: fanno solo più fatica a fare gruppo, non solo in nazionale”.
Senti che stavolta possono arrivare dei risultati che nella tua carriera finora sono arrivati solo parzialmente? E poi dovrai “allenare” anche la squadra dei tuoi collaboratori.
“Ho Bonucci nel mio staff e altri 5 componenti che lavorano con me da tanto. Prandelli, Perrotta, Zambrotta e Viscidi ci daranno una mano per far crescere la struttura a livello giovanile. Risultati? Col Napoli e il Milan non sono andato in Champions per un punto, all’Hajduk che non vinceva da 19 anni mi sono giocato il campionato all’ultima giornata con una squadra imbottita di giovani. Dipende come vengono scritte le cose. Solo una squadra vince, poi devi vedere come hai lavorato, come hai fatto crescere la squadra”.
Come cambia il tuo lavoro dal club alla Nazionale?
“Il calcio è la mia vita, sarà un lavoro diverso, spero di non stressare i colleghi allenatori: l’obiettivo è andare a vedere allenamenti, partite, parlare con i giocatori. Sarà questa la vita”.
Lippi dice di rivedersi in te. Cosa ti ha detto?
“Non posso rivelarlo ma immagina la parola CT e capite a cosa voglio arrivare. La prima parola che mi ha detto è stata questa. Spero di fare ciò che ha fatto lui, ma non alzare la Coppa del mondo ma creare quella alchimia che aveva creato lui. Veder i giocatori che vengono a Coverciano con il sorriso”.
Si parla tanto di italianità, è un problema nostro?
“È un problema di generazione, non solo del nostro calcio: diciamo che i giovani sono cambiati, ma dobbiamo essere noi bravi a cambiare e trovare una via di mezzo per interagire con loro in maniera corretta, perché i tempi sono cambiati e dobbiamo essere bravi a entrare nella loro testa nel modo giusto e non pensare che loro devono cambiare e venirci incontro. Noi dobbiamo andare incontro a loro e ascoltarli per farli esprimere al massimo”.
Quale messaggio tra quelli che hai ricevuto ti ha colpito di più?
“Tanti messaggi mi hanno colpito… sicuramente sentire i genitori di una certa età emozionarsi per l’opportunità che mi ha dato la Federazione è stato un momento di gioia. Sentire papà e mamma emozionarsi ancora è stata una gioia grande”.
Bisognerà iniziare a segnare qualche gol: quattro anni fa abbiamo vinto un Europeo con Chiesa, Berardi, Insigne e Bernardeschi. C’è l’esigenza di individuare un certo tipo di giocatore?
“Io penso che in questo momento il nostro campionato dice che abbiamo il 40% di squadre che giocano a tre e il 60% di squadre che giocano a quattro, ma in questo momento bisogna mettere i giocatori al posto giusto. Bisogna mettere una squadra in campo a cui piace stare nella metà campo avversaria e metterla in condizioni di creare gioco per fare male agli avversari. Poi i moduli a tre o a 4 trovano il tempo che trovano. La cosa più importante è come vogliamo stare in campo”.
Quali saranno le prime parole che dirai ai tuoi giocatori?
“Quello che ho detto prima: creare una famiglia, provare a dirci le cose in faccia, perché nei momenti di difficoltà, e in campo le difficoltà ci sono in qualsiasi momento, quando ti senti solo e non senti la voce del compagno, diventa dura e 90 minuti sono interminabili. In questo momento dobbiamo riuscire a cambiare questo aspetto, di aiutarci, di dire anche le cose che qualcuno magari non vuole sentire, perché solo così si può crescere”.









