Riccardo Misasi, il gran visir della Dc

A partire dagli anni Sessanta, la politica tenderà sempre più ad assumere i caratteri di percorso professionale autonomo.

“… Nato a Cosenza il 14 luglio 1932, figlio di un avvocato galantuomo di San Nicola in Arcella, Riccardo Misasi era un ragazzo al quale la provincia stava stretta. Quando si diploma, con un anno di anticipo, al liceo classico Bernardino Telesio, aveva già letto quasi tutto Croce. E l’ anno dopo, al collegio Augustinianum di Milano con Ciriaco De Mita e Gerardo Bianco, ogni tanto li stupiva citando a memoria don Benedetto. Tutti e tre venivano dal Sud, e si ritrovavano a masticare diritto e politica. Ma fu soprattutto tra l’ irpino Ciriaco e il cosentino Riccardo che nacque e si sviluppò un sodalizio umano prima ancora che politico, un’ amicizia fondata sulla complementarietà di due uomini così diversi tra loro, un legame destinato a segnare i destini di entrambi. Fu infatti l’ amico De Mita a chiedergli, dopo il ritorno in Calabria, di fare il salto verso la politica, naturalmente con la Democrazia Cristiana. E lui accettò. Prima leader del movimento giovanile, poi consigliere comunale, quindi – a 26 anni nel 1958 – deputato al Parlamento. Non fu una strada in discesa: il giovane Misasi dovette sbaragliare il vecchio gruppo dirigente democristiano, quello che aveva il suo regno nella Cassa di risparmio calabrese e il suo monarca in Florindo Antoniozzi. Ma una volta a Roma, non lo fermò nessuno. Sottosegretario alla Giustizia, ministro del Commercio con l’ estero, ministro della Pubblica Istruzione, Misasi saliva velocemente le scale della nomenklatura, ma era inseguito dal suo dualismo: a Roma discuteva della riforma della scuola, a Cosenza prometteva pane e lavoro. I suoi avversari gli rinfacciavano allora tutti quei nomi di cosentini, reggini e catanzaresi tra i bidelli assunti per chiamata diretta. La sua stagione d’ oro la visse nel settennato dell’ amico Ciriaco a Piazza del Gesù. “De Mita regna, Misasi governa”, sussurravano i peones dc. E lui, con la sigaretta sempre accesa, passava le giornate curvo sulla scrivania a stendere progetti e a compilare organigrammi, capo dell’ “ufficio nomine” della Dc e poi sottosegretario alla Presidenza col governo De Mita…”.

(Sebastiano Messina, La Repubblica)

Misasi è descritto come “… una delle intelligenze più acute di quella che fu la Democrazia Cristiana. Ci dev’ essere stata una ragione, se dalla prigione brigatista Aldo Moro delegò proprio a lui il compito di convocare un Consiglio nazionale straordinario della Dc. Ci dev’ essere stata una ragione se questo calabrese di ferro è stato uno degli uomini più potenti e temuti del partito, chiamato di volta in volta “il gran visir”, “il vicario”, “il viceré” o “il grande cuciniere”…”.

Giacomo Mancini, per esempio, lo ha sempre dipinto come una sorta di ras che per anni ha fatto il bello e soprattutto il cattivo tempo. Intelligente, avido mangiatore di pane e politica. Un vero fuoriclasse nel gioco della prima Repubblica.

Inevitabili i contatti con la ‘ndrangheta. Le voci sui suoi rapporti con Ciccio Mazzetta, il padre padrone di Taurianova, e il temporale Ligato, il presidente delle Fs ed esponente di spicco della Dc reggina assassinato per una faida di quello stesso comitato d’ affari, fanno cadere la stella di Misasi all’inizio degli anni Novanta.