Giornalisti, quello che non ha capito (o non vuole capire) il buon Soluri

Il rapace Parisi e il buon Soluri

Quello che non ha capito, o non vuole capire, il buon Peppe Soluri

di Francesco Montemurro

Peppe Soluri, il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Calabria, in fondo è una brava persona. Non riesce ad essermi antipatico. E’ lo stereotipo del presidente perfetto: accomodante un po’ con tutti, ottimo conoscitore del mondo dell’informazione calabrese, esperto di pratiche burocratiche.

Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Soluri è lo zio baffuto dei giornalisti calabresi, la persona che t’accoglie con un sorriso bonario, che magari ti rimprovera un po’ ma che poi prova a mettere una pezza alle diverse magagne: presidè devo prendere il tesserino, presidé ci sono gli esami da professionista, presidé non ho pagato 19 quote dell’Ordine, presidé non ho fatto nemmeno un credito formativo, presidé mi fate ottenere il praticantato? Beh, una soluzione, di riffa o di raffa, più o meno soddisfacente, Soluri la trova sempre. Ma in fondo è giusto che sia così.

La categoria, diciamocelo chiaramente, è più che sgarrupata, di lavoro vero non ce n’è e, con l’avvento dei social, l’editoria è così in crisi che “Mico il castagnaro” su facebook raggiunge purtroppo più persone del Quotidiano del Sud. Ed allora: di cosa stiamo parlando? Se è possibile aiutare qualcuno, insomma, bisogna farlo.

Però non sono tutte rose e fiori. Il buon Soluri, riconfermato per la quinta volta consecutiva alla guida dell’Ordine, con l’ultima tornata elettorale, ha commesso un grosso errore politico. Preso dalla foga di stracciare gli avversari di turno (il gruppo autonomo di Giornalisti d’Azione) che, a parte le buone intenzioni, ed appena un centinaio di voti strappati con le unghie e con i denti, non ha mai rappresentato un reale pericolo per lo status quo, non s’è accorto che ha infilato il futuro dell’Ordine in un cul de sac dal quale sarà difficile, forse impossibile, uscire.

Tutti sanno che, guardando in prospettiva, il vero vincitore di questa tornata elettorale è il sindacato di Parisi (in Calabria Fnsi è un acronimo superfluo) che non si è limitato – come in passato – ad “ispirare” alcuni candidati, ma che è sceso in campo direttamente con alcuni suoi uomini, naturalmente con il via libera di Soluri che elettoralmente ha ancora un peso enorme. Non c’è dubbio che nel prossimo mandato proverà (e verosimilmente riuscirà) a tenere a bada i rampanti sindacalisti della truppa reggina di Parisi.

Epperò quando Soluri terminerà – per sua stessa ammissione tra tre anni – la sua esperienza ordinistica, in che mani finirà l’Ordine? C’è chi giura proprio in quelle di Parisi, che avanzerà il diritto di prelazione. Sindacato e Ordine saranno allora la stessa cosa, con buona pace di chi crede ancora che la separazione degli ambiti sia un principio cardine della democrazia e valga ancora di più quando si esercita l’attività sindacale.

Quello che è mancato a Soluri è stato il coraggio. Ha scelto di vincere facile anche per dare una lezione ai giornalisti dissidenti, quando avrebbe potuto tracciare un nuovo corso dell’Ordine calabrese privilegiando le forze giovani e segnando una demarcazione netta col sindacato. Ma forse sarebbe stato pretendere troppo dal buon Soluri.

Francesco Montemurro