Alla fine il trono è arrivato.
C’era chi lo invocava da anni, chi ne parlava come se fosse un diritto divino, chi ci ha costruito sopra la propria carriera di adulazione. E poi c’è lui, Nicola Gratteri, che ora ci si è seduto sopra. Sul serio. Di legno scolpito, velluto rosso, alto e solenne, perfetto per la rappresentazione. Più che un magistrato, ormai sembra un personaggio da corte barocca. Gli mancava solo il seggio regale, ora ce l’ha. La scenografia è completa.
Perché Gratteri non è più un procuratore, ma un’icona. Una linea editoriale. Un palinsesto televisivo ambulante. Dove c’è una sedia da talk, c’è lui. Dove c’è un applauso preconfezionato, c’è lui. Dove c’è una libreria in cerca di clienti, c’è sempre lui con un nuovo libro già in vetrina. Il punto è che dietro la messinscena resta poco o nulla. Il vero Gratteri — quello che conosciamo noi calabresi senza paraocchi — è tutto chiacchiere e distintivo. Uno che ha parlato tanto, scritto troppo, agito poco. Uno che ha impacchettato processi mediatici come “Reset” per distrarre l’opinione pubblica e incensare sé stesso, mentre i veri centri di potere restavano intoccati. Uno che ha fatto la guerra solo a chi non serviva più a nessuno, risparmiando i tanti colletti bianchi che contano davvero.
E ora eccolo lì, sul trono. Immagine perfetta di ciò che è diventato. Un re. Ma non della giustizia — quella è rimasta a marcire nei cassetti delle Procure. No, è il re di una narrazione. Il sovrano di una favola costruita a uso e consumo della sua figura pubblica. Un’autorappresentazione continua, dove la legalità è solo la cornice, mai la sostanza. E così, dopo anni di parole, promesse e sceneggiate, Gratteri ha finalmente trovato il suo posto: sul trono. Peccato che, proprio adesso che si è seduto, tutti possano vederlo per quello che è. Il re, finalmente, è nudo.









