Guardia: quella chiesa che fu caserma del cattolicesimo (di Claudio Dionesalvi)

di Claudio Dionesalvi

Fonte: Inviato da Nessuno (http://www.inviatodanessuno.it/)

I luoghi antichi e abbandonati, se restituiti alla vita, celano segreti. A volte, mutando funzione, pare che giochino a nascondino con la storia.

“Numerosi Guardioli furono trucidati subito, vicino alla porta principale, detta in seguito porta del sangue. Essi furono tutti, chi scannato, qual segato per mezzo e qual’altro buttato giù da un’altissima balza (…). Più di sessanta persone furono scaraventate giù dalle torri o impiccate; altri, spalmati di pece o unti di trementina, vennero bruciati a fuoco lento. Oggetto di stupore fu per i cattolici la loro serenità davanti alla morte”.

Ultimato il restauro, quella che oggi pomeriggio il vescovo di San Marco Argentano benedirà, in una pubblica cerimonia di riapertura, sembra una chiesa come tante altre, eppure fu simbolo di oppressione e pulizia etnica. Col tempo ha cambiato nome: “Santissimo Rosario”. In principio dedicata a San Domenico, all’inizio del XVII secolo fu eretta insieme al convento dei domenicani, per normalizzare, sorvegliare, verificare che le radici dell’eresia fossero state definitivamente estirpate. Erano trascorsi pochi decenni dalla notte del 5 giugno 1561, quando a Guardia Piemontese migliaia di Valdesi furono massacrati da soldati spagnoli, a compimento di una campagna del terrore condotta dall’Inquisizione. Nel suo prezioso libro “Gli Ultramontani” (Pellegrini Editore), l’autorevole storico Enzo Stancati riportava numerose cronache dell’epoca: “il 15 ottobre 1610 il generale dei domenicani Agostino Salamini… notificò al vicario generale della congregazione Gabriele Figliolino che l’arcivescovo di Cosenza aveva espresso il desiderio di avere un convento di (domenicani) riformati a Paola, un padre in “terra di Guardia” e un padre nei castelli di S. Sisto e Bavarizo… luoghi d’oltramontani che un tempo fa furono infetti della pestifera heresia di Calvino, e detti padri havranno da invigilare sopra lo stato spirituale di quei popoli”.

A Guardia Piemontese e dintorni, tra XVI e XVII secolo l’Inquisizione si impegnò nella repressione dei Valdesi occitani radicatisi da secoli in provincia di Cosenza. La strage del 1561 fu solo il culmine di una persecuzione durata decenni, che coinvolse anche i centri di San Sisto e Montalto: si susseguirono deportazioni, torture, roghi, carcerazioni e pubblici castighi degni de “Il nome della rosa”. Furono vietati i matrimoni misti tra giovani locali e ragazze “ultramontane”, censurata la lingua occitana, imposto l’uso punitivo del san benito, un abitello di colore giallo, segnato con una croce, che identificava i rinnegati. A compimento dell’epurazione, furono inviati i domenicani affinché sorvegliassero e all’occorrenza punissero i Guardioli ribelli superstiti. L’intera strategia in effetti ebbe successo. A parte un museo, qualche rituale celebrazione e lo sforzo di mantenere in vita la lingua occitana insegnandola nell’unica scuola pubblica rimasta nel territorio comunale, di quel mondo oggi non rimane niente. A Guardia, i Valdesi non esistono più. L’operazione militare che portò allo sterminio degli abitanti, fu orchestrata con l’inganno dal cavaliere Salvatore Spinelli di Fuscaldo, feudatario locale. Non a caso i resti mortali del figlio Mario riposano dietro l’altare della chiesa che oggi si inaugura. Insieme alla targa marmorea apposta di recente per commemorarne la riapertura, ratificano l’operazione di polizia religiosa e politica che sradicò gli eretici valdesi. Nient’altro, all’interno dell’edificio, testimonia il compimento di quella crociata.

Quattro secoli e mezzo fa, l’Isis non esisteva ancora. La Chiesa cattolica fu altrettanto crudele nel reprimere intere popolazioni considerate infedeli. A Guardia come in diversi luoghi, vinse l’Inquisizione. Ma l’eresia attecchì ovunque, altrove. La scelta del pensiero libero, la sete di giustizia ed eguaglianza sociale, connaturate al genere umano, sono difficili da sradicare. Le pietre di Guardia Piemontese antica, ammutolite in mezzo al bosco che ospitò quelle tragiche vicende, mormorano che in ogni tempo l’intolleranza riavvicina l’umanità alle bestie.

(l’articolo è dedicato a Cesare Milaneschi, pastore valdese scomparso di recente)