La dottoressa Marisa Manzini da quasi quattro anni lavora a Cosenza con la qualifica di procuratore aggiunto. Il suo referente è stato il procuratore Dario Granieri, felicemente andato in pensione nel 2016. Granieri, per otto lunghi anni, ha continua la pessima opera dei suoi predecessori Oreste Nicastro e Alfredo Serafini. Che non solo non hanno perseguito i veri delinquenti di questa città ma li hanno coperti e protetti in tutte le maniere. La logica conseguenza di questo andazzo è stata la nomina a procuratore, nella primavera del 2016, di un altro magistrato corrotto, tra l’altro a lungo sodale degli ex procuratori Serafini e Granieri, il celeberrimo regista del pentimento di Franco Pino e di tutta la stagione del pentitismo cosentino. In una parola sola, il Gattopardo ovvero Mario Spagnuolo.
In molti speravano, all’inizio (dopo la nomina di Spagnuolo ognuno ha perso ogni speranza), che la signora Manzini cambiasse la tendenza della procura di Cosenza ma, al momento, al di là di pochi atti, tra l’altro dovuti, e di ordinaria amministrazione, non è andata. Le inchieste sulla pubblica amministrazione, che dovunque hanno portato quantomeno all’interdizione dei sindaci corrotti, sono state un clamoroso flop. Al punto tale che ormai da anni ironicamente la definiamo pettinatrice di bambole nelle lunghe ore che passa nel suo ufficio senza combinare nulla e non dare fastidio a Spagnuolo. Basti pensare che l’unico “momento di gloria” di questi ultimi anni è arrivato qualche mese fa, con la presentazione del suo libro (!), “trascinato” dal battibecco con il boss Mancuso, che nel corso di un’udienza l’aveva apostrofata intimandole di stare zitta. Esattamente quello che sta facendo a Cosenza da quattro anni, altro ca “parrasti assai”… E ripercorrendo la carriera della signora Manzini non mancano certo le ombre, che non potranno mai essere diradate neanche se dovesse scrivere sedici libri come il suo collega chiacchierone che fa finta di fare il procuratore a Catanzaro.
CHI E’ MARISA MANZINI
La dott.ssa Manzini, nel corso del suo primo incarico dall’anno 1993 all’anno 2003 come sostituto presso il Tribunale di Lamezia, ufficio che presentava rilevante scopertura dell’organico, incidente su un territorio caratterizzato da una forte presenza della criminalità organizzata, per 9 mesi e successivamente per oltre 5 mesi ha espletato le funzioni di Procuratore della Repubblica facente funzioni, in qualità di sostituto anziano, durante i congedi del Procuratore della Repubblica per ragioni di salute.
Quale sostituto procuratore presso il Tribunale di Catanzaro dal 21 novembre 2003 e fino alla data del 18 ottobre 2009 è stata inserita nella DDA, con competenza per i delitti di criminalità organizzata relativamente a tutto il territorio compreso nel circondario del Tribunale di Vibo Valentia, mantenendo direttamente rapporti di collaborazione e coordinamento con la Procura di Vìbo Valentia.
Dal 19 ottobre 2009 quale sostituto presso la Procura Generale di Catanzaro è stata inserita nel gruppo di lavoro istituito per la trattazione di procedimenti concernenti la richiesta di applicazione delle misure patrimoniali relativamente ai territori rientranti nei circondari dei Tribunali di Lamezia e Vibo, ed in condizioni di oggettiva difficoltà di organico, non si è mai sottratta ai suoi compiti diretti ed in supplenza, pur essendo applicata in procedimenti penali in corso di indagine presso la Procura di Catanzaro. Ha partecipato per delega del Capo dell’Ufficio alle convocazioni dei Consigli Giudiziari in rappresentanza del Procuratore Generale di Catanzaro in diverse occasioni.
Dal mese di febbraio del 2015 Marisa Manzini, come accennato, è procuratore della Repubblica aggiunto a Cosenza.
I PEZZI DI ROBERTO GALULLO
A questo punto facciamo entrare in scena uno dei nostri “guru”, il giornalista del Sole 24 Ore Roberto Galullo, che nel 2008 si chiedeva se la dottoressa Manzini fosse un vero magistrato antimafia o fosse invece collusa con la ‘ndrangheta.
Ecco l’articolo che ci interessa.
In un’Italia in cui un ex ministro della Giustizia partecipa alle nozze di un mafioso fa paradossalmente notizia che un magistrato antimafia faccia da testimone di nozze a uno tra i più apprezzati capitani della Finanza in Calabria (sono cose che hanno un certo significato da quelle parti e, soprattutto, che non passano inosservate dalle cosche).
E in un’Italia in cui i corvi volano spesso tra i palazzi di Giustizia e tra le mura di una caserma militare, fa paradossalmente notizia che lo stesso magistrato antimafia sia unanimamente apprezzata dalla polizia giudiziaria con cui – da anni – lavora: prima a Lamezia Terme e ora a Vibo Valentia dove, fino a qualche anno fa, la famiglia ‘ndranghetista Mancuso di Limbadi faceva ciò che voleva. Ora quantomeno ha trovato un argine in più anche se la sua potenza economica (derivante dal traffico di droga con i cartelli colombiani) e militare è devastante.
La testimone di nozze, l’apprezzato magistrato e l’argine sono la stessa persona: Marisa Manzini, piemontese di Novara, lombarda di origine, fino al 2003 a Lamezia Terme e poi alla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro con delega, appunto, su Vibo Valentia.
Un magistrato che ” per carità di Dio, grazie all’aiuto dei colleghi tutti bravi, buoni e belli, guai a trovarne uno brutto, sporco e cattivo “porta avanti processi e operazioni importanti, dai nomi che evocano telenovela e polpettoni televisivi: Dinasty, Rima, Odissea, Domino, New Sunrise, Uova del Drago. Dietro questi nomi di fantasia c’è una realtà durissima: un lavoro costante, senza mai una sbavatura e in armonia con i colleghi (tutti?). “Ha sempre lavorato bene e in silenzio”, mi conferma un amico della Direzione nazionale antimafia, di cui mi fido come un romanista sfegatato (quale sono) si fida del suo Capitano (sua maestà Totti). “Non ne sento che parlare bene”, mi conferma Beppe Lumia, ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, che da anni bracca come un mastino napoletano le mafie di tutta Italia. “Un lavoro ordinario ” mi dice al telefono di buonissima ora Manzini ” come tanti colleghi”.
Sarà, ma spesso ciò che in Calabria è ordinario al resto d’Italia sembra straordinario: come a esempio mettere all’angolo le famiglie Mancuso, Fiarè, la Rosa, Mamone (vi dice niente questo cognome a Genova?), Lo Bianco e via di questo passo.
Bene. Questo magistrato lombardo-piemontese-calabrese (per amore), si merita le attenzioni di tanti picciotti di giornata all’ordine dei quaquaraqua delle famiglie sopracitate: al punto da dover essere messa sotto tutela prima e sotto scorta poi. Le classiche minacce telefoniche, i classici proiettili, le simpatiche telefonate intercettate nel maggio 2008 dai Carabinieri di Vibo Valentia in cui si parlava di un attentato da preparare contro Manzini.
Altro classico, questa volta però dalla politica. E qui comincia ” se non ci fosse da piangere” una storia da brividi che il ministro della Giustizia e quello dell’Interno debbono presto chiudere.
L’onorevole calabrese Angela Napoli “membro storico della Commissione antimafia, defenestrata dal suo partito, An, dalla vicepresidenza che sembrava toccarle “il 25 giugno 2008 presenta un’interrogazione ai ministri dell’Interno e della Giustizia per sapere per quali motivi era stata ridotta la protezione al magistrato.
Il 1º ottobre un senatore cuneese del Pdl coi baffi, Giuseppe Menardi, cinquantacinquenne ingegnere, presenta un’interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia su Manzini, raccontando storiacce che se fossero vere bisognerebbe interdirla a vita. Vediamo di cosa si tratta. Manzini, acquisterebbe, per “interposta persona” una villa da un imprenditore chiacchieratissimo. E ciò, scrive Menardi, “crea imbarazzo tra i colleghi”.
In Calabria, ma questo forse Menardi no lo sa, tutto il ciclo del cemento è in odor di mafia (come dimostrano da anni i rapporti di Legambiente) e per essere sicuri di metter su una casa “vergine” bisognerebbe portarsi materiali e operai da Oslo.
Andiamo avanti. Manzini avrebbe omesso di investigare su personaggi collusi con latitanti, avrebbe trattenuto per anni fascicoli importanti sulla scrivania, avrebbe omesso di richiedere misure alternative per talaltri personaggi simpatici come una sanguisuga nella vasca da bagno e ” qui viene il bello ” avrebbe soggiornato gratis alla Clinica San Raffaele di Milano anziché pagare 13mila euro e avrebbe chiesto raccomandazioni per il marito, medico chiurgo.

Aprite bene gli occhi e spalancate le orecchie: l’autore del doppio ultimo miracolo è Antonio Saladino, imputato nel processo Why Not condotto dalla Procura di Catanzaro, inizialmente nelle mani di quel Luigi De Magistris cacciato poi a Napoli, che aveva cominciato a mettere le mani come un bambino goloso nella marmellata di cui si nutre la politica affaristico-mafiosa calabrese: la massoneria deviata.
Orbene: a me “al quale non interessa politicamente e professionalmente nulla né di Angela Napoli, né di Giuseppe Menardi né di Marisa Manzini, né di De Magistris, né di Lumia e che senza guardare in faccia a nessuno rispondo solo e unicamente al mio direttore e a voi cari lettori “alcune cose sembrano evidenti: 1) la interrogazione di Menardi è stata, come dire, suggerita; 2) chi l’ha fatta scrivere era non informato, ma informatissimo.
Bene, ne chiedo conto ai due protagonisti: Menardi e Manzini, con chiosa finale di Napoli (ma solo perché è della stessa coalizione politica di Menardi e perché da commissario antimafia calabrese qualcosa dovrebbe saperne o no?).
Domanda: Pronto Menardi?
Risposta “Sì, chi parla”
Domanda: “Galullo, inviato del Sole-24 Ore e conduttore di Radio 24: perché nella sua vita parlamentare si occupa di Maurizio Giampà?
Risposta: “E chi è?”
Domanda: “Lo ha citato lei in un’interrogazione parlamentare del 1º ottobre sulla Calabria”.
Risposta: “Ah si ricordo”.
Domanda: “Lei è mai stato a Lamezia in vita sua?”
Risposta: “Lamezia? Altro che!”
Domanda: “Perche si occupa della Manzini, lei che viene dalla brume cuneesi?”.
Risposta: “Perché qualcuno mi ha rappresentato i fatti, non ho altro da aggiungere”.
Domanda: “Qualcuno chi?”
Risposta: “Qualcuno”.
Domanda: “Parlamentari?”
Risposta: “Qualcuno! Venga al Senato che ne parliamo”.
Domanda:”Esistono anche i telefoni senatore, scusi ma non posso. Non le sembra strano che sia un parlamentare piemontese a interessarsi della Calabria?”.
Risposta: “Sa com’è, ci voleva qualcuno che non fosse coinvolto”.
Domanda: “No, non so com’è. Ma coinvolto in cosa? Li paghiamo per fare i parlamentari, questi cuor di leone. Vuole che le rappresenti la mia impressione senatore?”
Risposta interlocutoria: “Eh!”
Domanda: “A me sembra un’interrogazione pilotata”
Risposta ancora interlocutoria-stana intervistatore “Eh”.
Domanda: “Interrogazione pi-lo-ta-ta. Cosa mi risponde?”.
Risposta irritata e scarica intervistatore: “Va beh va beh”.
Domanda: “Senatore, di questa storia scriverò sul mio blog”.
Risposta: “Venga a Roma”.
Clic.
E ora la telefonata con Manzini, mai vista e conosciuta in vita mia prima che me ne occupassi (casualmente perché stavo navigando su Internet per ben altre cose) per voi, amici adorati del blog.
Domanda: “Pronto Manzini? (e solita tiritera di presentazione) Ha letto l’interrogazione”?
Risposta. “Certo e le posso dire che ne parlo con difficoltà anche perché ho già coinvolto le autorità competenti e fatto le mie denunce. Alcune cose, poi, sono coperte da segreto istruttorio. Comunque è partita una campagna di delegittimazione”
Domanda: “Delle due l’una però. O quello che scrive il senatore è vero o è falso. In quest’ultimo caso lei andrebbe additata al pubblico ludibrio e cacciata dalla magistratura, che poi sarebbe magari chiamata a perseguire i reati eventualmente commessi. Ne conviene?”.
Risposta: “Ciò che è scritto in quell’interrogazione non solo è falso ma è frutto di una mente finissima in diritto penale. Ci sono termini come “acquisto per interposta persona” che solo in pochi e dell’ambiente conoscono. Se fossero vere quelle storie non potrei stare al mio posto e non potrei guardarmi allo specchio. Ripeto: sono accuse falsissime e pilotate.”
Domanda: “Un’idea di chi possa aver messo in giro certe voci se la sarà fatta o no?”.
Risposta: “L’idea è chiarissima: qualcuno molto, ma molto vicino a me”.
Domanda: “Se non è suo marito è un magistrato”.
Risposta: “Questo lo dice lei”.
Domanda: “E le chiedo anche: perché si è rivolta a Saladino per non pagare?”.
Risposta: “Guardi, il mio calvario in ospedale, di cui pochi sanno, è lungo e doloroso. Però una cosa posso dirla: ho girato parecchi ospedali e quando sono giunta a Milano su indicazione di mio marito, stimato medico, non ho pagato assolutamente nulla per il semplice fatto che non dovevo nulla”.
Domanda: “E quel fascicolo dimenticato per sei anni?”
Risposta: “Guardi, quando sono arrivata a Vibo ho trovato fascicoli di mafia datati 1995, presi da me in mano dopo 8 anni, quando sono arrivata nel 2003, e poi chiusi. Non ho la più pallida idea di cosa possa essere accaduto a quel fascicolo perché il carico pendente che ho trovato era mostruoso”.
Buongiorno, clic.

E ora la chiosa di Angela Napoli. “Quell’interrogazione ” mi dichiara mentre è ancora infuriata con il partito al quale riconsegnerà la tessera per come l’hanno trattata ” è una porcata. E’ una grandissima porcata che punta a delegittimare il grande lavoro che sta facendo quel magistrato. E’ chiaro ed evidente che qualcuno l’ha scritta e l’ha passata al senatore Menardi”.
Cari amici di blog, questa è la ricostruzione di uno spaccato di Calabria dove il confine tra lecito e illecito è inesistente, dove il bene e il male spesso si confondono, dove i corvi volano sempre alti. Sarà, ma in questa storia “alla quale spero che il ministro della Giustizia e quello dell’Interno rispondano al più presto per il bene della Calabria e dell’Italia senza guardare in faccia a nessuno ” suona tanto strana.
Odora ” anzi puzza ” di ‘ndrangheta, affari e ripicche personali, carriere giudiziarie e grembiulini. Tanti, tanti grembiulini deviati e tanti, tanti compassi occulti. Del resto la geometria non è come la matematica: è un’opinione.
LE RISPOSTE CHE NON ARRIVANO
A distanza di un annetto, Galullo ritorna sul caso Manzini.
“… Risposte del ministro all’Italia: zero. E così – nonostante un sollecito dossier di fuoco spedito da Manzini ad Alfano su questa polpetta cuneese avvelenata – la Manzini stessa, azzardo io, ha più o meno ragionato così: sapete che c’è? Annatevene tutti a quel paese, lascio la Dda e andate avanti voi a lottare contro i mulini a vento.
La solita Angela Napoli, dopo aver presentato un’interrogazione parlamentare su Manzini già il 25 giugno 2008 chiedendo ai ministri dell’Interno e della Giustizia il motivo dell’isolamento del magistrato, ne ha presentata un’altra il 14 ottobre 2009.
Questa volta la cosa è più grave perché oltre a chiedere conto dell’allontanamento di Manzini, la parlamentare chiede anche di sapere per quale motivo, dal 2007, nella provincia di Vibo Valentia devastata dalla potenza delle ‘ndrine, della malapolitica e dei grembiulini sporchi, sia stato di fatto smantellato un pool antimafia che poteva contare su alcune eccellenze investigative ed inquirenti: ad esempio, oltre ovviamente a Manzini, il capo della squadra mobile Rodolfo Ruperti (ora a Caserta), il suo vice Fabio Zampagliano e un generale dei Carabinieri…”.
1 – continua