venerdì, Luglio 4, 2025
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Guerra in Ucraina, le conseguenze per la Russia e le voci di un golpe contro Putin

Che cosa può accadere alla Russia e a Putin

Fonte: Repubblica

Le sorti della guerra, le conseguenze del giro di vite sull’informazione e i diritti, la fuga dei grandi marchi che avevano impresso uno stile di vita occidentale alla società. Sono troppi gli elementi che si sommano e non possono non pesare sul futuro del paese e del suo leader.

Tra guerra che avanza con nuovi orrori e fiera resistenza, sanzioni occidentali che si allargano, fuga di aziende e brand stranieri da Mosca, treni pieni per la Finlandia, crescenti pressioni internazionali per cercare un compromesso, manifestazioni di protesta dalla capitale fino alla Siberia e a Vladivostok, tutti si chiedono non solo come finirà il conflitto a Kiev ma anche come finiranno Vladimir Putin e l’immensa nazione di cui è presidente. Ecco dunque cosa può succedere.

Innanzitutto, com’è la situazione in Russia?

Innegabilmente difficile. Dall’inizio della guerra, la vita è cambiata in modo radicale. Le sanzioni occidentali hanno fatto crollare il rublo, che ha perso più del 30 per cento del suo valore nel cambio con altre valute, e la Borsa di Mosca. La corsa agli sportelli di una popolazione allarmata ha messo le banche sull’orlo del collasso: i bancomat si sono svuotati, è un’impresa ritirare contante. Circa metà delle riserve della banca centrale sono state congelate all’estero. La stragrande maggioranza delle aziende straniere hanno chiuso, lasciando decine di migliaia di persone senza lavoro e privando i consumatori di beni a cui si erano abituati da decenni: se ne sono andati o hanno sospeso l’attività tutti i brand più famosi, da quelli di lusso, Chanel, Dior, Louis Vuitton, a quelli rivolti alla classe media, come Ikea e Nike. Non si può volare più verso Occidente, perché Europa e Stati Uniti hanno chiuso lo spazio aereo a tutti i voli russi, commerciali e privati. Scomparsi anche Facebook e Twitter, inizialmente limitati dal governo, poi per decisione propria di ritirarsi dalla Russia.

Le cose potrebbero peggiorare?

Sì. Gira voce che il Cremlino voglia cancellare completamente l’accesso a internet, permettendolo soltanto attraverso una rete interna russa su cui può esercitare totale sorveglianza, sul modello di quanto avviene da sempre in Cina. Insieme alla chiusura di Radio Eco di Mosca, ultima radio libera di Russia, e alle nuove leggi che minacciano con 15 anni di prigione i giornalisti che descrivono la guerra in Ucraina usando la parola “guerra”, un provvedimento che ricorda il Grande Fratello del romanzo di Orwell, questo farebbe calare una censura pressoché totale sulla Russia, limitando l’informazione ai media e ai social di stato. Intanto anche i giornalisti stranieri hanno smesso di scrivere da Mosca, dalla Bbc alla Cnn fino alla stampa internazionale, per non rischiare che i propri corrispondenti vengano sbattuti in carcere: questo non accadeva nemmeno nell’Unione Sovietica di prima della perestrojka di Gorbaciov.

Ma i russi possono ancora andare in Europa?

In teoria sì, se dispongono di un passaporto europeo (parecchi ce l’hanno: Cipro, membro della Ue, ha per esempio facilitato enormemente le procedure per ottenere la propria cittadinanza con un investimento, infatti è stata finora piena di russi) o di un visto. Tuttavia possono andarci soltanto per via di terra: i treni per Helsinki sono pieni e ci sono ingorghi di auto alla frontiera con la Finlandia. Chi può, scappa, nel timore che Putin, circolano voci anche su questo, imponga la legge marziale e chiuda i confini: come in era sovietica, quando l’Urss era una immensa prigione e occorreva un permesso speciale per poter andare all’estero.

E la gente cosa dice?

I sondaggi indipendenti del centro russo Levada indicano soltanto un 45 per cento di consensi per il riconoscimento delle repubbliche separatiste del Donbass che ha messo in moto la guerra. I sondaggi degli istituti di statistica in mano al Cremlino dicono viceversa che i consensi per Putin sono cresciuti, oltrepassando il 70 per cento, dall’inizio del conflitto: ma non sono molto credibili. Da quando è cominciata la guerra ci sono state manifestazioni di protesta in tutto il paese, non solo a Mosca e San Pietroburgo, ma anche in Siberia e fino a Vladivostok, con oltre diecimila dimostranti arrestati: un dissenso più massiccio che in passato. Anche chi non scende in piazza, per paura delle conseguenze, non può non provare una sensazione di disagio e di preoccupazione. I russi erano abituati a comprare generi di consumo occidentali: non li troveranno più. Erano abituati a navigare liberamente sul web, a postare su Facebook e Twitter: non potranno più farlo. Erano abituati ad andare in vacanza in Europa, non solo i ricchi, anche la vasta classe media: prova ne siano le decine di voli charter alla settimana che atterravano in estate all’aeroporto di Rimini e i cartelli in cirillico sulle vetrine dei negozi lungo tutta la Riviera romagnola. Non potranno più fare nemmeno questo. Non possono nemmeno fare il tifo per le loro squadre e i loro atleti, perché sono stati messi al bando da tutte le competizioni sportive internazionali, a cominciare dalle coppe europee di calcio per club e dai mondiali di fine anno in Qatar. Certo, gli anziani pensionati che ricevono notizie soltanto dalla tivù di stato credono per la maggior parte alla versione del Cremlino su quanto sta accadendo in Ucraina e sul complotto occidentale contro la Russia. Certo, c’è come ovunque nel mondo un divario tra l’opinione pubblica delle città e delle campagne. Ma è indubbio che la Russia sia tornata a vivere come prima di Gorbaciov. Ho vissuto sette anni a Mosca come corrispondente di questo giornale, ho ancora conoscenze tra i russi che ci abitano. Ho chiesto a qualcuno di loro in questi giorni: è come essere tornati sotto Breznev? “E’ peggio”, mi ha risposto. Forse non del tutto, perché la società e i consumi sono cambiati in modo irriconoscibile rispetto alla Mosca di fine anni Settanta, inizio anni Ottanta: ma la percezione del ritorno al passato, dopo trent’anni di vita migliore, deve essere sentita da molti.

Perciò si può dire che la Russia d’oggi, la Russia che ha invaso l’Ucraina, è una dittatura?

Sì. Se si vogliono chiamare le cose con il loro nome, non c’è altro modo di definire un paese che arresta chi protesta, mette in prigione gli oppositori, invia killer ad assassinare dissidenti in patria e all’estero, censura l’informazione, minaccia di guerra nucleare l’Occidente e invade una nazione. Più o meno il ritratto dell’Urss brezneviana, inclusa l’invasione di un paese straniero che per Breznev fu l’Afghanistan. Proprio quella guerra contribuì a mettere in crisi l’Unione Sovietica, portando alla libertà di stampa e alle riforme politico-economiche di Gorbaciov e alla fragile democrazia del suo successore Boris Eltsin, trasformata gradualmente da Putin prima in autocrazia e ora in uno stato totalitario.

È possibile che ci sia una congiura di palazzo, un golpe contro Putin?

È accaduto nel 1964, quando il Poltibjiuro, guidato da Leonid Breznev, depose Nikita Krusciov da segretario generale del Pcus, la carica che allora individuava il capo del Cremlino, per “gravi errori politici ed economici”. Anche allora fu il risultato di una sfida con l’Occidente, che rischiò di diventare guerra atomica: la crisi dei missili a Cuba, risolta alla fine con un compromesso ma che fu imputata a Krusciov come una sconfitta. Alcuni non gli perdonavano la destalinizzazione e una parziale liberalizzazione: Gorbaciov e i suoi seguaci erano chiamati “i figli del XX Congresso” (sottinteso del Pcus), in cui Krusciov nel 1956 aveva denunciato i crimini di Stalin. Ma il golpe contro Krusciov prese tempo rispetto a questi eventi. Poi ci sono stati due golpe falliti organizzati da nostalgici del comunismo, quello del 1991 per rovesciare Gorbaciov, durato tre giorni, e quello del 1993 per rovesciare Eltsin, respinto da quest’ultimo a cannonate contro gli insorti.

Cosa è necessario affinché qualcosa di simile avvenga contro Putin?

Il disagio popolare deve crescere. La guerra in Ucraina deve prolungarsi, facendo salire il numero delle vittime russe. L’economia russa deve subire altri danni. Certo, Putin ha creato una guardia presidenziale di decine di migliaia di uomini il cui compito specifico è proteggere il presidente. E ha sicuramente predisposto un sistema di ricatti e minacce contro ministri e oligarchi, ossia i miliardari che dominano l’economia, nel caso provino a tradirlo. Ma è impossibili che oligarchi, ministri e perfino generali non pensino che le cose stanno andando male: probabilmente qualcuno di loro ne parla anche, quando è sicuro di non essere spiato. Nella storia russa, quando i boiardi sono scontenti di uno zar, come era chiamata l’aristocrazia feudale, equivalente della nomenklatura del Cremlino attuale, prima o poi finiscono per disfarsene.

Ci può essere una rivolta popolare per rovesciare Putin e ristabilire la democrazia?

Neanche questo si può escludere. È successo in Bielorussia negli ultimi due anni e in Kazakhstan recentemente, sia pure senza successo perché entrambe le rivolte sono state brutalmente represse da polizia ed esercito. Potrebbe accadere anche in Russia se aumentano il disagio sociale e la crisi economica. Naturalmente non bastano decine di migliaia di persone nelle piazze: occorre che scendano in strada centinaia di migliaia di dimostranti, se non milioni. Ma anche questo è successo, in Russia, negli anni della perestrojka.

Putin non si rende conto del pericolo?

Probabilmente se ne rende conto. La rigida censura imposta all’informazione, con misure che non esistevano nemmeno al tempo dell’Urss (un giornalista straniero poteva essere espulso se scriveva cose ritenute inaccettabili dal Cremlino, ma non rischiava 15 anni di prigione in Russia), è un segno della preoccupazione di Putin. L’ordine di mettere le forze nucleari in stato d’allerta è un altro sintomo del suo nervosismo: non ce n’era assolutamente bisogno, è stata una risposta sproporzionata alla minaccia posta dalle sanzioni occidentali o dagli aiuti militari all’Ucraina, così come il suo monito che la Russia avrebbe risposto con “cose che non avete mai visto”.

Può darsi che, in alternativa a un golpe interno, i suoi consiglieri e generali lo facciano ragionare mettendo fine alla guerra in cambio di una riduzione delle sanzioni?

In teoria, qualcuno potrebbe provarci. Ma il modo in cui Putin ha maltrattato come scolaretti i suoi ministri nelle apparizioni televisive delle scorse settimane induce a credere che nessuno avrà il coraggio di provarci. Il presidente si è circondato di “yes men” che gli dicono solo quello che lui vuole sentire. Oltretutto, nei due anni di pandemia Putin si è completamente isolato, passando gran parte del tempo alla dacia fuori città nel timore paranoico di rimanere contagiato. Un dissidente russo afferma che Putin è oggi più isolato di Stalin, il quale trascorse a sua volta gli ultimi anni alla dacia, anche se, a differenza di Putin, il Poltibjuro, equivalente del governo odierno, andava regolarmente a trovarlo e alcuni membri del suo stretto circolo facevano perfino la sauna con lui. È il caso di ricordare che, quando proprio alla sauna lo colpì l’ictus che poi lo uccise, il capo del Kgb Berija non chiamò i soccorsi, lasciandolo morire: un precedente illustre su quello che può accadere a un dittatore al potere da troppo tempo e troppo isolato.

Ma Putin potrebbe restare dittatore della Russia molto a lungo?

La riforma della costituzione gli consente di rimanere alla presidenza fino al 2036, quando avrebbe 84 anni e sarebbe al potere da 37.

In fondo anche in Cina c’è una dittatura e sembra solidamente al potere.

Sì, ma la Russia è in Europa e ha provato cosa sia una pur non completa libertà negli ultimi trent’anni, per cui la situazione è diversa.

Cosa può fare l’Occidente per spingere la Russia a cambiare corso?

Gli Stati Uniti stanno discutendo con gli alleati europei, come sanzione addizionale, un embargo completo del petrolio russo, che priverebbe Mosca di una delle sue due principali fonti di reddito. L’altra è il gas: l’Europa paga alla Russia 700 milioni di euro al giorno per il suo fabbisogno energetico. L’obiettivo è ridurre e in prospettiva eliminare anche questo. Poi ci sono gli aiuti militari all’Ucraina: Washington vuole aumentare anche questi. Come ha detto domenica l’ex-premier britannico Tony Blair, “l’Occidente non può permettere che la Russia vinca in Ucraina”. Sia per ragioni morali, perché bisogna impedire l’asservimento e lo sterminio di un popolo. Sia per i nostri interessi, perché se Putin vince lì non si fermerà all’Ucraina e fare i conti con un bellicoso dittatore non sarà facile.

E dunque come finiranno Putin e la Russia?

I processi di questo tipo possono essere rapidi o lunghi. Nel peggiore dei casi bisognerà attendere la morte di Putin e un riassetto delle relazioni con Mosca, quando al Cremlino ci sarà il suo successore. Ma il sistema appare usurato, scricchiola, ricorda per certi versi la fase finale dell’impero sovietico. “Tak zhit nilzhia”, così non si può vivere, è la frase diventata famosa in Russia che Gorbaciov disse al suo ministro degli Esteri Eduard Shevardnadze, passeggiando sulle rive del mar Nero (le stesse dove oggi si combatte): il riconoscimento che il comunismo era fallito e che bisognava riformarlo o sarebbe esploso. Ebbene, è diventato difficile vivere anche nella Russia di Putin.

Ma in definitiva la Russia appartiene all’Europa o no?

Lo zar Pietro il Grande riteneva di sì: per questo chiamò architetti italiani a edificare la capitale che avrebbe portato il suo nome, San Pietroburgo. Gorbaciov, nell’intervista che gli feci al Cremlino per “Repubblica” il giorno dopo le sue dimissioni nel dicembre ’91, a un certo punto sbottò: “Non siamo né tartari né tedeschi”, ossia né asiatici né europei; però in precedenza aveva predicato per anni l’esigenza di fare nascere “una casa comune europea”. Fino ai monti Urali, del resto, la Russia appartiene geograficamente all’Europa, ed nella Russia europea che vivono i tre quarti dei russi: come la matematica, la geografia non è un’opinione. Eppure il dibattito tra europeisti e slavofili sul destino della Russia dura da secoli. Quando nel 1997 domandai al grande filosofo Dmitrij Likhaciov, un ex-dissidente che era stato anche nel Gulag, se esiste la proverbiale anima russa, mi rispose: “Purtroppo sì. Purtroppo, perché in essa convivono cose buon e altre pessime. Ma nessuno può predeterminare quel che devono essere i popoli. I russi possono diventare quello che vogliono: dipende solo da loro. L’unica cosa certa è che sono parte dell’Europa: siamo tutti figli della stessa cultura cristiana”.