Hiroshima paragone osceno

(di Stefano Massini – repubblica.it) – Nuova raffica di uscite trumpiane in chiave di ardore bellico: prima il nostro scomoda nientemeno che Hiroshima, poi diffonde in rete un video sarcastico con bombardieri americani sulle note di “Bomb Iran”, parodia della hit lanciata dai Regents. Siamo insomma dalle parti del dottor Stranamore, un cocktail fra tragedia e farsa, con cadaveri e radiazioni che saltellano come note sul pentagramma di un tormentone estivo o di una canzone satirica rifatta come ardirebbe un Checco Zalone. Tant’è, nella ricorrenza drammatica degli ottant’anni dal 1945, sostiene Trump che l’attacco su Fordow starebbe all’Iran come il fungo atomico all’Impero Giapponese, come a dire che le guerre vanno pur concluse, costi quel che costi, indipendentemente dal prezzo dell’epilogo.

Tornano allora in mente Sadako Sasaki, straziante vittima innocente fra gli innumerevoli uccisi nel tempo dalle radiazioni, e gli scatti agghiaccianti di Joe O’Donnell dalla scena del massacro, laddove l’umanità negò se stessa e la scienza si convertì in assoluto sabba di morte. Pronunciando il nome di Hiroshima, Trump rievoca tutto questo e infinite altre pagine di assoluta barbarie, ma lo fa con la leggerezza di chi un attimo dopo può postare le immagini di un bombardamento come fossero quelle del Superbowl o di un qualsiasi reality show.

Peraltro è estremamente curioso che con queste parole certifichi l’esatto opposto di ciò che aveva promesso in campagna elettorale, cioè quella velocità supersonica (24 ore) con cui avrebbe portato a casa la pace in Ucraina, cosicché Donald The Terminator non passerà alla storia come fulmineo peacemaker ma come il Re Combattente che col suo cappellino rosso orchestrava dalla situation room una guerra, quella sì, di 24 ore. Ti aspettavi la pace con Kiev a tempi da record? Spiacente, l’articolo non è al momento disponibile, ma nello stesso lasso di tempo ti servo una guerra con Teheran e relativo sipario finale.

Come non bastasse, resterà agli atti quel tono con cui d’un tratto Hiroshima viene di fatto riabilitata come necessario preambolo della pace, in una narrazione del tutto opposta a quella che per anni vide affiorare polemiche e sensi di colpa sull’inopportunità di una catastrofe epocale. Si pentì, com’è noto, il fisico Oppenheimer, e con lui alcuni dei massimi gradi dell’esercito diedero atto che l’Asse era già sconfitto e i giapponesi non avrebbero retto a lungo, per cui l’atomica era stata solo un colossale gesto dimostrativo, una prova muscolare come minimo pleonastica.

Questo ci dice la Storia, ma Donald com’è noto ne scrive una tutta propria, in cui forse l’again del suo famoso Maga significa che “di nuovo” come a Hiroshima l’America è pronta a sconvolgere il mondo pur di affermare un primato. Possiamo sorriderne, possiamo derubricare il tutto a ennesima goliardata di un gradasso in abiti presidenziali, ma ogni volta le esternazioni rocambolesche di costui configurano un nuovo asse cartesiano con ascisse e ordinate stravolte rispetto a tutto ciò che precedeva: da oggi la Casa Bianca ostenta l’Enola Gay come il sigillo provvidenziale di un conflitto che qualcun altro a Mosca potrebbe ritenere analogo a quello che si combatte alle porte dell’Europa, e dunque? Il modello Fordow si applicherà anche a Kramatorsk o a Mariupol? Viene da chiedersi con quale principio gli Stati Uniti dovrebbero essere eticamente legittimati a ricorrere allo shock di Hiroshima per piegare il nemico, mentre chiunque altro ne sarebbe interdetto.

E qui il cerchio si chiude sull’ennesimo video postato sui social del presidente, con la pioggia di bombe che cade sull’Iran in salsa Beach Boys, perché in fondo in quello sberleffo c’è la supremazia di chi ti vieta di arricchire l’uranio ma intanto decanta Hiroshima come un passaggio salvifico per la collettività. Brecht ci aveva raccontato la guerra come la massima ipocrisia del genere umano, e qui ne abbiamo la più lampante conferma, per cui non stupisce che il burattinaio di questo subbuglio planetario sia il campione della comunicazione politica del terzo millennio, quel Donald che equalizza ogni dramma e ogni commedia, mettendo sullo stesso piano Kamala Harris Bruce SpringsteenJoe Biden e George Clooney, Fordow e Hiroshima, la ragion di Stato e il proprio sedere “baciato” dai nemici piegati dai dazi. È tutto un frullatore, è tutto un mash up, quel che conta è — come disse egli stesso nello Studio Ovale con Zelensky — che “abbiamo fatto un grande show televisivo”.