I ragazzi fannulloni da reddito, l’ultima falsità della politica

(DI LUCA SOMMI – ilfattoquotidiano.it) – Se il famoso marziano di Ennio Flaiano scendesse in questi giorni a Roma e, nel tentativo di farsi un’idea del Paese che sta visitando, decidesse di accendere la televisione italiana e guardare un talk-show si farebbe un’idea precisa: l’Italia è una nazione popolata da giovani umani “fannulloni” che stanno tutto il giorno “sul divano”, che “non rischiano e non faticano”, e ai quali viene data una “paghetta” proprio per non fare niente.

Sì, perché uno dei massimi imputati di questa campagna elettorale è proprio lui, il reddito di cittadinanza: che “non funziona”, “diseduca i giovani al lavoro” e, anzi, “li incentiva a non lavorare” o, alla meglio, a “lavorare in nero”. Ergo, quasi tutti i partiti, salvo il Movimento 5 Stelle che lo ha voluto e pochi altri, desiderano cancellarlo o, alla meglio, cambiarlo radicalmente. Ma sono davvero così tanti i giovani che lo percepiscono? Facciamoci aiutare dall’ultimo report dell’Inps. I percettori complessivi (di almeno una mensilità) di Rdc tra gennaio e luglio 2022 sono 3.350.771 (persone uscite dalla povertà…). E di questi quasi 3 milioni e mezzo di persone quanti sono i giovani che lo percepiscono? Se escludiamo quelli che lo prendono in forma “indiretta”, ossia che vivono in famiglia e rappresentano uno degli elementi del calcolo Isee (l’indicatore preso a riferimento per chi chiede una qualsiasi forma di agevolazione sociale allo Stato), i giovani tra i 18 e i 29 anni beneficiari del sussidio sono 49.346, di cui 22.482 nella fascia di età 18-24 anni e 26.846 in quella 25-29 anni. Dunque riepilogando i “famosi” giovani che starebbero sul divano a ricevere il sussidio in modo “autonomo”, senza gravare sulla famiglia, sono l’1.47% del totale. Avete capito bene: su 100 persone che percepiscono il Rdc solo 1 è un giovane autonomo sotto i 29 anni. Capite che la retorica del “ragazzo fannullone sul divano” cade immediatamente.

Ma c’è di più: prendendo la nota Anpal di aprile 2022 leggiamo che “tra i giovanissimi occupati e beneficiari del reddito la quota di chi lavora con contratto a tempo indeterminato o apprendistato è pari al 50,6%”. Cosa ci dice la nota dell’Agenzia per le politiche attive del lavoro? Che tra i beneficiari del Rdc 1 ragazzo su 2 lavora già, e (evidentemente) stiamo parlando di lavori con forme contrattuali “da fame” che, non garantendo una retribuzione dignitosa, devono integrarla con il sussidio. In un Paese dove 360 mila giovani (fascia 20-29 anni) guadagnano meno di 876 euro al mese (in Europa solo la Romania è messa peggio), dove 4,3 milioni di lavoratori guadagnano meno di 9 euro lordi all’ora e dove quasi 1 lavoratore su 3 guadagna meno di mille euro la mese, forse servirebbe più cautela quando si parla di questo. Comunque sia, se in molti ne hanno riconosciuto la valenza di ammortizzatore sociale quasi tutti criticano la parte che riguarda le politiche attive, ossia che non ha aiutato a trovare lavoro a chi non l’aveva.

Qui c’è del vero, però una cosa va detta: nel 2019 quando il governo Conte-1 ha introdotto il Rdc venne stanziato 1 miliardo di euro per potenziare i Centri per l’impiego. L’intento era quello di assumere 11.600 nuovi operatori: siamo fermi a 3.800. Ma va anche specificato che la competenza per le politiche attive, ossia la possibilità di spendere quel miliardo, è delle Regioni, che evidentemente hanno mancato l’obiettivo – Sicilia, Calabria, Basilicata e Molise, per dire, sono a zero assunzioni. Anche perché, fa sempre bere ricordarlo, un provvedimento come il Rdc – che è sicuramente perfettibile, come ogni legge – dà pienezza all’art. 3 della Costituzione, uno dei pochi articoli che non si limita alla sua funzione “dispositiva” ma che, anzi, quasi esorta, sprona la Repubblica a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. E chissà, forse anche quella di un marziano.