Il calvario di Padre Fedele e la croce di Cosenza
La recente dichiarazione del vescovo Checchinato, che apriva alla possibilità per Padre Fedele di celebrare messa in pubblico “se si riprenderà”, aveva riacceso il dibattito su una vicenda che per decenni ha segnato profondamente la città di Cosenza. Al di là delle buone intenzioni manifestate dal vescovo, molti, e non a torto, leggevano e leggono in quella affermazione un’amara ironia, un tardivo tentativo di sanare una ferita che la Curia cosentina – ma non certo Checchinato che è qui da nemmeno un anno – ha contribuito in modo determinante a infliggere.
Come non ricordare, infatti, la “crocifissione” di Padre Fedele, avvenuta ancor prima di una qualsiasi sentenza definitiva? È impossibile dimenticare il ruolo di chi, come il vescovo Agostino, pur consapevole della debolezza e della discutibile veridicità delle accuse mosse dalla suora, avrebbe preferito lavarsene le mani, come un moderno Pilato, lasciando che un uomo venisse infangato e la sua opera caritatevole distrutta. Quella suora, come è emerso in seguito, non era la prima volta che denunciava presunte violenze, eppure la Curia, secondo molti, scelse di darle credito, forse per interessi o logiche di potere inconfessabili. Cosenza lo sa, il mondo lo sa.
Per questo quell’annuncio del vescovo Checchinato – che ribadiamo non c’entra niente – suonava quasi beffardo. Cosa significava “potrà dire messa in pubblico”? La Santa Messa, come ci ricorda la fede stessa, è vivere la Passione di Cristo. E a Padre Fedele, la passione di Cristo gliel’avete fatta vivere per decenni, con la persecuzione, l’allontanamento, l’isolamento e la negazione della sua dignità sacerdotale. Dunque, a ben vedere, Padre Fedele di messe con il pubblico ne ha celebrate fin troppe, e con un sacrificio ben più grande di quello che voi gli concedete oggi.
Purtroppo, l’umile suggerimento che arrivava da molti amici e sostenitori del monaco è stato inutile: al funerale di oggi al Santuario del Santissimo Crocifisso non sono state evitate le passerelle e anche le cerimonie ipocrite. Una semplice preghiera, un esame di coscienza sincero e, soprattutto, il silenzio, sarebbe stato molto meglio. E in questo almeno il vescovo Checchinato – che ribadiamo ancora una volta non c’entra niente — è stato bravo perché almeno lui non ha preso la parola. Ma tanti altri hanno pronunciato il suo nome, e parliamo quindi dei suoi ex confratelli che in un momento di grande difficoltà lo hanno abbandonato. Per fare bella figura, avrebbero dovuto lasciarlo riposare in pace. E non l’hanno fatto. L’unica cosa che avreste potuto fare, per restituirgli in parte la dignità che gli avete tolto, sarebbe stata tumularlo in Cattedrale, in un gesto che, pur tardivo, avrebbe riconosciuto finalmente il suo valore e il suo martirio. Ma non è stato fatto neanche questo.