Il loop micidiale dell’informazione: ieri il Covid e adesso la guerra

(DI GIANDOMENICO CRAPIS – Il Fatto Quotidiano) – Da tempo l’informazione è entrata in un loop micidiale: prima il Covid, poi la guerra di Putin. Il tema è sempre quello, avvolge le testate e le reti, rimbalza da un programma all’altro, da un tg a un altro, con le stesse rappresentazioni, le stesse parole, spesso gli stessi pensieri.

Il film non scorre: il fermo immagine sul virus è durato due anni, sostituito il 24 febbraio dal fermo immagine della guerra. Se prima l’informazione era tutta dentro la pandemia, oggi è tutta nella guerra, niente fuori dalla guerra. Si salvano solo i tg regionali, in cui qualcosa di quello che accade extra bellum sopravvive (ma non era stato così invece con il virus). Ci vorrebbero un Sandro Viola o un Giorgio Bocca per raccontare con la loro penna questo giornalismo malato, ora di politica politicante, ora di Covid, ora di guerra guerreggiante. Non discutiamo le buone intenzioni, almeno negli ultimi due casi, ma è il modo che, se non offende, di sicuro esonda, tracima oltre ogni limite.
Capire perché ciò accada, e in questa misura anche con i buoni propositi, significherebbe fare i conti con il giornalismo nazionale e i suoi antichi difetti: vaste programme. Una delle ragioni è la pigrizia. La pigrizia che fa sdraiare sull’argomento, che spinge a “succhiargli la ruota”, come per i ciclisti; che non aiuta a capire che la tragedia infinita del Covid o della guerra non azzerano il resto della realtà, le cose altre che continuano ad accadere senza essere raccontate. Forse perché meno dotate di quelle risorse di spettacolo, di conflittualità, magari di violenza, di cui i mass media si alimentano ingordi, a volte fino a implodere.
Sino all’altroieri era il continuum dei numeri dei contagi, numeri forniti senza distinguere, spesso decontestualizzati. Una narrazione seriale che ci ha inseguito ossessivamente per due anni, 365 giorni all’anno, anche nei momenti meno complicati, moltiplicando paure e polemiche, trascinando nel wrestling delle opinioni medici e scienziati, ben contenti di quel quarto d’ora di visibilità che una vita di studi, ahiloro, non aveva garantito.

Oggi l’invasione dell’Ucraina da parte del criminale Putin, i morti, i feriti, le tragedie e i drammi: tutto raccontato, sia chiaro, con lodevolissimi intenti, per carità. Ma come con il Covid l’informazione si è infilata in una gabbia e non ne esce. Interi tg dedicati da un mese e mezzo alla cronaca della guerra, in tutte le sue sfumature militari e umane, il più delle volte con taglio impressionistico, e solo quello. La cronaca del dolore, e va bene, ci mancherebbe, ma non ci sarebbe solo quella da raccontare. Così come non ci sarebbe da raccontare solo la guerra. Ogni giorno, tutti i giorni. Sparite le altre notizie, azzerate; a parte un po’ di politica, di nera (e del solito Covid).

Eppure l’apertura di una facoltà di Medicina a Scampia, la terra di Gomorra, è una notizia, eccome se lo è! Ma nessuno ne parla (lo ha fatto meritoriamente notare Paolo Pagliaro a Otto e mezzo). Nessuno parla più del Pnrr e di come faranno governo, Regioni e Comuni a concretizzarne le indicazioni, né delle guerre africane o dei lager libici (zero inviati e zero immagini), né della sanità che soffoca, priva di specialisti e medici di famiglia, né del Sud che deperisce tra i califfati politici e la mafia. Com’è successo con la pandemia, il racconto non esce dal circolo vizioso guerra-commenti sulla guerra: non c’è ricambio nella stanza del giornalismo, quello televisivo soprattutto, ma anche quello a stampa. Tra esperti più o meno pagati, tra la compagnia di giro delle opinioni, si cerca la drammatizzazione: continuata, alimentata, estenuata. Che intossica i cittadini, ammorba il dibattito pubblico.