(Luca Telese – tpi.it) – Sei povero? Soffri. Dopo aver passato giorni a studiare le norme che aboliscono il Reddito di cittadinanza, mi è apparsa chiara una sorprendente verità: non è un semplice percorso di fuoriuscita da un sussidio, e nemmeno una norma scritta male. È un efficace strumento di tortura. Per questo l’estate 2023 passerà alla storia come quella degli estremi simbolici: da una lato “Italia Twiga” (e le memorabili cene dei renziani con Daniela Santanchè) e dell’altro il mobbing contro i poveri.
D’altra parte ogni processo di Restaurazione, dal Congresso di Vienna in poi, ha bisogno di un sigillo violento, uno stigma che segni il passaggio. Ed ecco il punto: per spiegare quel che sta accadendo ai poveri bisognerebbe mandare un novello Omero davanti a un Caf.
Dal 29 luglio centinaia di ex percettori del Rdc affollano uffici comunali, servizi sociali e centri del lavoro in ricerca di risposte. Che però non esistono.
Il famoso sms inviato per comunicare la «sospensione» del trattamento conteneva due bugie in tre righe per la maggior parte di coloro che lo hanno ricevuto: 1) non è una «sospensione» (è un taglio); 2) non si resta «in attesa» della «presa in carico dai servizi sociali». Anzi, il 90% dei messaggiati non solo non manterrà il Reddito, ma perderà tutto, compreso il sostegno all’inserimento lavorativo: un micro-reddito da 350 euro per 12 mesi.
E qui si arriva alla perla: hai il contributo se ti registri alla piattaforma. Ma al momento dell’invio dell’sms la piattaforma non esisteva.
Il requisito per ricevere il nuovo sussidio, poi, sale da 6mila a 9mila euro. Come mai? Semplice: il primo vero obiettivo della controriforma è risparmiare 3 miliardi. Ma allora, se l’obiettivo era il taglio, perché questo complicato circo afflittivo?
Prima risposta: proprio perché nessuno lo capisca, e sia più difficile stabilire le responsabilità. Secondo: stressare e illudere “le vittime” è un modo per decomprimere la protesta. Le istituzioni dicono «Non ti abbiamo (ancora) ucciso, c’è una tortuosa via, che può portarti a una salvazione: se sei bravo prendi un anno di mini-sussidio». Falso.
E poi gli errori materiali. Il testo del Governo affermava che il Reddito sarebbe stato tagliato a 350mila persone «occupabili». Lo perde, invece, chiunque non abbia figli minori a carico, né genitori con più di 60 anni, né sia invalido o assista disabili. Ma si tratta comunque di inoccupabili: ad esempio, maschi 50-60enni espulsi dal mercato del lavoro, o madri con figli 18enni.
Ed ecco l’altra gaffe: chi percepisce l’Assegno unico per i figli tra i 18 e i 21 anni, per un errore tecnico, si è visto cancellare anche quel sussidio (a cui ha tutt’ora diritto). E per ri-ottenerlo deve ripresentare domanda. La ministra Calderone ha spiegato che si rimedierà e si pagherà l’arretrato, ma nessuno sa come, perché la norma al momento del taglio non esisteva. Eppure il Governo si era preso sette mesi per prepararsi.
Ma la manovra d’estate non serviva a programmare un percorso, bensì a sorprendere le vittime. Così i Comuni in due casi su tre non possono far nulla (il titolare non ha diritto per la soglia Isee e gli altri ostacoli) e i centri per l’impiego sono arrivati fino esporre (a Napoli) annunci surreali: «Non ci occupiamo di Reddito di cittadinanza».
Però in questo sadico gioco dell’oca sono finiti cittadini di cui l’Inps sa tutto: fragili, sottoscolarizzati, poveri. Intanto l’Ufficio parlamentare di Bilancio (organismo indipendente) spiega che il ministero ha anche sbagliato: le persone interessate dal taglio, secondo l’Ubb, saranno 500mila e non “solo” 350mila.
Come cambia la filosofia rispetto all’Inps di Pasquale Tridico, che partendo da un’idea di servizio ai fragili verificava il diritto a percepire l’Assegno unico per i figli e lo attribuiva in automatico. Oggi la filosofia è esattamente ribaltata: sei povero, sei colpevole, devi sputare sangue. Come sempre, la forma che la burocrazia codifica in modo apparentemente casuale è rivelatrice di un’idea politica, la vera autobiografia di una classe dirigente e delle sue scelte.