Il ponte sullo Stretto c’è già ed è fatto di carta: da Carlo Magno a Topolino

di Attilio Bolzoni

Fonte: Domani

Una trentina di anni fa qualcuno si è tolto il capriccio di mettere su una bilancia i documenti gelosamente custoditi in un baule. Progetti, relazioni sul rischio sismico, valutazioni di impatto ambientale. In fondo alla cassa c’erano anche meticolose ricerche sulle planate e sulle picchiate del falco cuculo e della poiana codabianca, un monitoraggio sulle caratteristiche chimico-fisiche delle acque, un altro “sulle eventuali relazioni” di quelle acque con i flussi migratori dei cetacei nello Stretto e, infine, un’indagine per scoprire «quale sarebbe stato l’impatto emotivo» sugli abitanti di Reggio Calabria e di Messina. I documenti pesavano 126 chilogrammi. Ogni possibile materia da studiare l’avevano studiata, analizzata, sviscerata da esperti profumatamente ricompensati, amici vicini e lontani, docenti di facoltà universitarie calabresi e siciliane o professori di fama europea come quelli dell’Istituto ornitologico svizzero di Sempach, nel cantone tedesco di Lucerna. Allora eravamo già arrivati a quota centocinquanta milioni di euro, oggi dicono che i milioni siano quasi trecento. Tutti investiti, o buttati?, negli “studi di fattibilità” di quella che viene da sempre annunciata come l’ottava meraviglia del mondo.

Storia antica

Ai tempi della prima guerra punica la sognava già il console romano Lucio Cecilio Metello, poi l’hanno agognata anche Carlo Magno, Roberto il Guiscardo e pure Ruggero II° d’Altavilla. Ciascuno di loro non sopportava l’idea, per ragioni belliche o per movente squisitamente economico, che la Sicilia potesse essere o restare isola, staccata dalla terraferma da quegli impossibili tremiladuecento metri che separano Scilla da Cariddi. Il ponte ha fantasie e frenesie antiche. Siamo sicuri che prima o poi si farà, intanto però non ci siamo accorti che già c’è. Ed è fatto di carta. Unisce Torre Faro e Punta Pellaro con disegni, grafici, parole, schizzi, voglie e denaro, tanto denaro che va avanti e indietro da una riva all’altra. E pare che non sia finita qui.

È di pochi giorni fa la notizia di un’informativa presentata al presidente del Consiglio Mario Draghi dal ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini, un altro “studio di fattibilità”, un’altra analisi tecnico-economica «per un sistema di attraversamento stabile dello Stretto». Questa volta per verificare se lo si potrà realizzare aereo e a più campate commissionando l’ennesimo progetto a Rfi, la società di gestione della rete ferroviaria italiana. Un tentativo per scartare definitivamente la soluzione a campata unica, già ipotizzata da decenni e preferita comunque a un tunnel sottomarino. Il ministro Giovannini però non avrebbe escluso nemmeno l’opzione zero, e cioè che l’opera in qualsiasi sua forma sarebbe «inutile e improduttiva». Si ricomincia daccapo.

Il mito e il rito dell’arancina

Il Ponte che c’è e non c’è è sempre nei nostri desideri e nei nostri incubi, maestoso monumento che una volta realizzato non ci potrà più regalare il rito dell’arancina sul ferry boat quando salpiamo o attracchiamo a Villa San Giovanni, l’assalto al bar della “Caronte” dove l’arancina è ormai mito come le mostruose creature di quel tratto di mare, Ulisse, l’Odissea, le correnti e i vortici dello Stretto, la leggenda di Colapesce che sprofonda negli abissi per sostenere una Sicilia poggiata su tre malferme colonne e insieme a tutto questo anche quella palla di riso impanato e fritto, con dentro ragù e piselli e caciocavallo. A una campata o a più campate comunque l’ingegneria più avveniristica minaccerà l’identità e la diversità isolana, i siciliani che rischieranno di diventare come tutti gli altri.

Lo scrittore Gesualdo Bufalino, a proposito, commentava: «Personalmente il ponte mi sta benissimo, resta da vedere se e come esso possa contribuire e renderci più italiani, qualcuno dubita che non lo siamo abbastanza o che desideriamo non esserlo». Il ponte che fa la storia e il ponte che può cancellare la storia. Si parte sempre da dove ci eravamo lasciati quasi mezzo secolo fa, si fa e si disfa, si approva e si boccia, si spera e si teme, ponte sì e ponte no.

Un costo di oltre 4 miliardi

È come il fenomeno della Fata Morgana, che d’incanto si ripropone sullo Stretto con la sua magia. Immagini riflesse e illusorie, cose e persone che appaiono fra la costa della Sicilia e della Calabria e poi improvvisamente scompaiono, barche, pescatori, case, effetto ottico che trae in inganno i naviganti come spettacolo ipnotico è quello del ponte. Quanto dovrà costare? Pare quattro miliardi e 600 milioni di euro. Quanto sarà sicuro in caso di terremoto, visto che nel dicembre del 1908 un sisma del decimo grado della scala Mercalli fece 80mila morti a Messina e quasi 40mila a Reggio? Testato per resistere a una scossa del 7,1 grado della scala Richter e cioè a un “evento disastrosissimo” e in condizione di reggere venti a velocità superiore ai 216 chilometri orari. Quante auto e quanti treni transiteranno ogni giorno fra le due rive? Dai 6 ai 9mila veicoli l’ora e circa duecento treni ogni ventiquattro ore. Quanti posti di lavoro creerà? Da centomila a 120mila.

Quante mafie si arricchiranno? Due, Cosa nostra e la ‘ndrangheta. Cantiere aperto, cantiere chiuso, governo dopo governo un tira e molla estenuante sin dal 1971 quando con la legge 1158 si costituisce la «Stretto di Messina spa», società di diritto privato a capitale pubblico. Nel 1974 il Parlamento europeo dichiara il collegamento fra la Calabria e la Sicilia «di interesse comunitario», dieci anni dopo la «Stretto di Messina spa» presenta i suoi primi tre progetti. Nel 1988 il governo italiano si mostra favorevole alla soluzione, per sicurezza, costi e tempi, del ponte sospeso, nel 1992 è pronto «un progetto di massima definitivo», nel 1996 il ministro dei Lavori pubblici Antonio Di Pietro inserisce il ponte «come intervento prioritario sulla viabilità», nel 1999 vengono pubblicati sulla gazzetta ufficiale i bandi di gara per la scelta degli advisor, nel 2001 viene approvata la legge Obiettivo sulle grandi opere e c’è anche il ponte. L’Europarlamento prima è contro e poi a favore. C’è un’Italia divisa e anche una Sicilia divisa. Il presidente del Consiglio Romano Prodi nel maggio del 2006 dice che «che è inutile e velleitario». Nel giugno del 2006, un mese dopo, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dice il contrario e nel suo stile spiega «che lo costruiremo perché se uno ha un grande amore dall’altra parte dello Stretto potrà andarci anche alle quattro del mattino senza aspettare i traghetti».

Un tira e molla infinito

Lo scenario cambia in un attimo. A Villa San Giovanni, in via Garibaldi al civico 68, graziose e gentili hostess rassicurano i passanti incuriositi: «Garantito si farà, per ora c’è una legge, le dichiarazioni di qualche ministro non fanno testo, la legge è quella fino quando non se ne farà un’altra». È la voce del ponte che si fa sentire. Un info point a Villa e un altro info point a Messina. Sono rimasti aperti fino all’autunno del 2007. Maxi schermi, inchini, brochure e sorrisi. E uno slogan meraviglioso: «Migliorerà la qualità della vita». I piazzisti del ponte spariscono poco dopo ma alla fine riemergono sempre. Matteo Renzi è per farlo e Beppe Grillo per ciò gli dà, siamo già nel 2016, del «menomato morale». La febbre del ponte che ritorna sempre dall’epoca di quel console romano che si era immaginato un lunghissimo corridoio di legno, di botte e di imbarcazioni per far passare gli elefanti dei cartaginesi che erano in rotta sulle coste messinesi, sconfitti in Sicilia in una delle tre sanguinosissime guerre puniche. Di elefanti ne morirono centoquaranta e il console fu richiamato con disonore a Roma.

Da Garibaldi a Topolino

Tanto tempo dopo Peppino Garibaldi, sbarco a Marsala e missione compiuta, avrebbe preferito raggiungere l’Aspromonte con qualcosa su cui poggiare i piedi sopra il mare. Un assillo anche per il Duce, che al suo capo della polizia Carmine Senise confidò: «È tempo che questa storia dell’isola finisca, dopo la guerra Senise, dopo la guerra questa benedetta favola della Sicilia finirà per sempre». Le cose sono andate altrimenti. Abbiamo detto che però c’è che è fatto di carta. E infatti è finito anche in un fumetto della Walt Disney. Il numero 1.401 di Topolino dell’ottobre del 1982. Zio Paperone che vuole fortissimamente il ponte e il ricco Rockerduck che fiuta l’affare e lo fa costruire. Imponente, sorretto da piloni di corallo.