Il salto di qualità: l’omicidio di Pino Chiappetta

“… Ma il fatto criminoso che delinea chiaramente quale sia stato in quel periodo il ruolo della criminalità nel mondo economico e che rappresenta nella storia evolutiva del fenomeno un altro passaggio cruciale è l’omicidio, avvenuto nell’ottobre del 1990, dell’imprenditore e consigliere comunale di Rende, Pino Chiappetta, eletto nella Dc e vicino alle posizioni della corrente “Forze Nuove” guidata in Calabria dall’allora potentissimo notabile democristiano, Vito Napoli. L’omicidio matura in un contesto di gestione di appalti e subappalti e in un periodo in cui le organizzazioni imponevano il loro tariffario a tutte le imprese che realizzavano lavori pubblici in città e nell’hinterland. La vittima aveva osato mettere il naso negli affari del cemento senza chiedere il permesso ai boss…”.

(Gianfranco Bonofiglio, il Romanzo Criminale della città bruzia)

“… Pino Chiappetta ha 36 anni, viene da una facoltosa famiglia di imprenditori operanti nel settore dell’edilizia. Lo ammazzano la sera dell’8 ottobre 1990. Chiappetta insieme al fratello Paolo è dentro il circolo ricreativo “Pirito”, che si trova in contrada Commenda a Rende. Sta giocando a carte. In un istante si materializzano tre killer col colto coperto da una calza. Uno si ferma sulla porta a tenere bloccato l’ingresso e a controllare che non arrivi nessuno, gli altri due si avvicinano al tavolo dove c’è Chiappetta e gli sparano contro con le loro pistole semiautomatiche. Sette colpi di pistola. Tutti a segno. Chiappetta è morto subito. I medici del pronto soccorso dell’ ospedale di Cosenza non hanno potuto neppure tentare un qualsiasi intervento. I tre assassini poi spariscono a bordo di un’Alfa 33 rubata…”.

(Danilo Chirico, Cittadini innocenti uccisi dalla ‘ndrangheta)

Ben presto i pentiti hanno spiegato quello che si “poteva” spiegare. A cominciare da Franco Pino e Franco Garofalo, che in questa vicenda hanno giocato il ruolo dei mandanti. Insieme a Franco Perna e a Mario Pranno. Qundici anni a testa per i due pentiti ed ergastolo agli altri due. Mario Pranno, che in un primo tempo era entrato nella lista dei collaboratori, successivamente sarà ritenuto non attendibile. E’ evidente, quindi, che la pace siglata tra le cosche ha prodotto il secondo cadavere eccellente dopo quello di Sergio Cosmai.

Tanti i killer, ora pentiti, che hanno avuto a che fare con quella intricata matassa. Franco e Ferdinando Vitelli, Aldo Acri e Francesco Tedesco (condannati a pene variabili dal 22 ai 25 anni), Gianfranco Ruà, ex braccio destro di Pino, viene condannato a 27 anni di carcere, mentre Raffaele Mazzuca e Rinaldo Gentile a 15 anni.

Ventotto anni di carcere invece vengono inflitti ad Antonio Grimoli, ritenuto concorrente morale del delitto. Grimoli è costruttore come Chiappetta ed evidentemente ritiene che si sia “allargato” troppo, non solo nella sua attività professionale ma anche in politica. Quanto basta per “eliminarlo”. La posizione di Grimoli tuttavia sarà al centro di un clamoroso conflitto tra il pentito Franco Pino e il magistrato Mario Spagnuolo.

Franco Pino e Spagnuolo: il gioco delle tre carte con Grimoli per il delitto Chiappetta

“… Ne viene fuori un quadro di interessi e di intrecci con imprenditori compiacenti e il peso non trascurabile che gli imprenditori non legati alla ‘ndrangheta dovevano sopportare in termini di estorsioni e di pizzo che, con puntualità, doveva essere versato nelle sempre più cospicue casse delle organizzazioni criminali. Con una variante non trascurabile: quando non si riusciva a far fronte alle richieste si giungeva a chiedere denaro in prestito a tassi usurai, entrando, in tal modo, in un vortice che spesso si concludeva con l’annessione da parte della stessa criminalità della proprietà reale dell’esercizio commerciale o dell’impresa che rimaneva fittiziamente e legalmente di proprietà dell’originario imprenditore ma che diviene di fatto proprietà della ‘ndrangheta. Ed è su tal punto che, nonostante il pentitismo e nonostante il periodo di tangentopoli, che nella nostra città non si è mai indagato sino in fondo. Sulla genesi e sullo sviluppo della mafia imprenditrice lo Stato appare in notevole ritardo…”.

(Gianfranco Bonofiglio, il Romanzo Criminale della città bruzia)

Il sindaco di Rende dell’epoca Antonietta Feola Adamo esprime sdegno e condanna. “Da troppo tempo la Calabria – dice il sindaco – è umiliata dal dilagare di una organizzazione criminale che cerca di limitare sempre più spazi di vita sociale e civile e di inquinare settori e ambienti sani della collettività”.

Il pericolo incombe – lascia capire – sugli amministratori degli enti locali.

Ma, al di là delle responsabilità di mandanti e killer della malavita, non emerge nulla ma proprio nulla che possa coinvolgere politici e colletti bianchi. E non solo…

SERGIO PERRI E SILVANA DE MARCO

Dieci anni dopo, nella seconda guerra di mafia cosentina, muoiono anche i nipoti di Chiappetta, il trentaseienne Sergio Perri e la moglie Silvana De Marco, di trent’anni. Li fanno fuori in contrada Lecco a Rende il 16 novembre del 2000. Sono a bordo della loro Mercedes station wagon, vengono affiancati da una moto e bersagliati a colpi di pistola. La donna, che è al volante, ha appena il tempo di scendere dall’auto e provare una fuga. Inutile. Perri era stato arrestato nel 1999 perché accusato di aver ottenuto illegalmente appalti pubblici ed era stato scarcerato appena dieci giorni prima. Dalla morte dello zio Pino Chiappetta, gestiva il silos che era stato suo e mandava avanti un’impresa edile…”.

(Danilo Chirico, Cittadini innocenti uccisi dalla ‘ndrangheta)