di Saverio Di Giorno
E dunque avete deciso di nasconderci, come si nasconde una malformazione. Avete deciso di evitarci, come si evita un debito. Come si evita una colpa. Il Sud brucia, Palmi brucia: 5 mila ettari, copertoni, soprattutto plastica. Il resto dell’Italia se ne accorge solo il 16 luglio (articolo del Post) e il 17 luglio (articolo di Repubblica). Tre o quattro giorni di ritardo. Ma il ritardo ha un motivo preciso: non sanno cosa dire, non sanno cosa succede. E non lo sanno perché succede al Sud.
È il Sud: sarà la solita disorganizzazione; è il Sud: forse sarà qualcosa di mafia. Non c’è notizia: è regola. È norma nel Sud perennemente indietro, nel Sud corrotto. Queste sono le uniche spiegazioni, le uniche interpretazioni che riuscite a dare. Sono logiche del Sud. Sono cose loro. E loro sono diversi, questi del Sud, con le loro miserie, le loro logiche di violenze e le loro devastazioni. Diversi a pelle, come diversa è una cameriera di Catanzaro da una di Biella (Che differenza c’è tra le buffonate di Feltri e il silenzio della stampa su Palmi?).
Diversi. E per questo non avete capito nulla. Non ci avete mai capito nulla, anche perché altrimenti a guardare troppo al Sud, saltano i teatrini. Il silenzio colpevole su Palmi esprime tutta la difficoltà di questo Paese a confrontarsi con la questione meridionale. L’imbarazzo. E poi in definitiva l’ipocrisia.
La difficoltà a riconoscere i problemi del Sud come parte di una questione nazionale. In Emilia-Romagna i consulenti dei comuni intercettati così parlano quando si tratta di aprire le porte agli esponenti dei clan di Cutro: “è il numero due della Calabria, della ‘Ndrangheta però è un imprenditore, comanda tutta Reggio, rappresentano 140 aziende, non lavorano con la droga, sono diversi, però lo sgarro a loro non si fa… Lui mi ha detto che non ci sono problemi, quando lui mi dice così io sono tranquilla… è una cosa semplice babbo… La commissione casualmente non sarà di Bologna, sarà… di Roma – e conclude – oh ragazzuoli funziona così eh!” (Consulente Tattini).
Ecco che in questo caso – d’improvviso – le logiche e le dinamiche del Sud non sono diverse, incomprensibili. Sono tanto uguali da essere indistinguibili da qualsiasi imprenditore. La logica del profitto: quella è la stessa. Questa non è una logica meridionale, non è una cosa nostra. Questa la si capisce. La riconoscete come vostra: “funziona così”. Perché sono imprenditori, non lavorano con la droga. Non in Emilia, almeno.
La droga lasciamola al Sud, ai porti di Gioia Tauro. Le emergenze sono del sud, i profitti no.
Funziona così, dice. Ha sempre funzionato così. Funziona che tenete gli ospedali pieni dei nostri vecchi, della nostra memoria. Funziona che con i soldi dei nostri malati e con i debiti dei nostri ospedali vi ci pagate le pensioni. Funziona che tenete le banche chin’ di soldi riciclati che hanno evitato tracolli. Funziona che la vostra civiltà ha riempito i nostri terreni della vostra monnezza, dei vostri rifiuti, per farvi pagare meno al costo di mobilitare i servizi segreti (chi ricorda il caso di Santa Maria La Fossa nei Wikileaks durante lo scandalo in Campania?). Funziona che le carriere sono lastricate dai nostri voti, nelle circoscrizioni dove vi rifuggiate. Funziona che. Con questa forma di italiano-meridionale. Perché è questa la lingua che parla il vostro profitto, il vostro denaro. E se non funzionasse così, non potrebbe funzionare diversamente. E non ve lo abbiamo imparato noi.
È nostra la lingua del vostro profitto, sono nostri i porti dove questo nasce, le discariche dove si alimenta, le mancanze sui cui fare carriera. Tutto questo noi lo sappiamo. Lo vediamo, lo scriviamo, lo analizziamo ogni santo giorno. Noi conosciamo la grammatica delle emergenze perenni, delle inefficienze volute, quella del ricatto. Noi sappiamo che è con questa grammatica che parla il profitto.
Ma voi no. Voi brancolate nel buio. Voi, dovete ignorare tutto questo perché non sapete che scrivere se non le solite pastoie. Non potete approfondire. Siete voi in ritardo. Noi siamo in anticipo: venite qua, passeggiate sulle nostre strade dissestate e vedrete il vostro futuro. Le città arse di sete, deformate dalla cementificazione, ammassate di corpi e rifiuti sotto al sole. Questa è la forma della vostra civiltà. Ed è quella che sta bruciando. E ancora una volta siete in ritardo – nel capirlo – ma non solo di tre o quattro giorni.
Voi dovete ignorare per evitare il rossore di vergogna sul volto. Cambiare strada quando ci incrociate. Ma fino a quando? Come farete quando le vostre città traboccheranno di emigrati e non ci saranno più strade dove girare? Quando tutto sarà colmo e non sarà più possibile nascondere nulla?