In cucina tutto è permesso, ma fino ad un certo punto. Nessuno discute la libertà di ognuno di concepire abbinamenti gastronomici come più gli pare. La cucina, o meglio l’arte culinaria, è creatività e libertà di espressione. Che ognuno interpreta, elabora, e mette in tavola, secondo il proprio gusto. De gustibus non est disputandum, dicevano i latini. Il palato non è uguale per tutti. E tutti siamo alla ricerca del piatto che più di altri ecciti le nostre papille gustative: chi non anela a provare “il piacere in un boccone”. Del resto si sa, magiare è un piacere che tutti vogliamo soddisfare. Poveri e ricchi. E la cucina è il laboratorio di ricerca dove ognuno, tra padelle, pentole e fornelli, è libero di mescolare ciò che vuole inseguendo la propria felicità culinaria. Possiamo, in questa ricerca, condividere gusti con altri, o adattarci per necessità a gusti standard, ma nessuno potrà mai abolire l’antico dualismo gastronomico tra chini a vo cotta e chini a vo cruda. Una espressione che rappresenta plasticamente la libertà in cucina. Ognuno mangia come gli pare. Ma è solo in questo ambito che in cucina tutto è permesso.
Se la cucina è creatività e libertà, va detto anche che l’arte culinaria, al pari di tutte le altre arti, si basa su una metodologia di base, maturata in secoli di sperimentazioni, dalla quale nessun cuoco può prescindere. Conoscere le tecniche della propria arte è una regola che vale per tutti gli artisti. Il pittore che vuole realizzare un affresco deve sapere che per la buona riuscita dell’opera deve operare con i suoi pennelli sull’intonaco fresco. E così è anche in cucina, casalinga o professionale che sia. Per poter creare una qualsivoglia pietanza, bisogna sapere come maneggiare e preparare le materie prime che intendiamo usare: proprietà organolettiche, tempi e metodi di cottura. Senza queste conoscenze la buona riuscita di un piatto rimane una ardua impresa. L’improvvisazione in cucina, per quanto ammessa, porta in tavola sempre qualche “pasticcio”. Ed è proprio per prevenire questo che nel corso dei secoli l’arte culinaria si è dotata dei suoi ricettari. Ci sono preparazioni gastronomiche inventate secoli fa da cuochi geniali che ancora oggi incontrano il gusto di tanti. Delle vere e proprie opere culinarie che come tali, però, vanno trattate.
Quando si accendono i fornelli per riprodurre una ricetta “patrimonio gastronomico dell’umanità”, l’esecuzione non ammette libertà e creatività. I passaggi della ricetta devono essere rigorosamente rispettati. Bisogna essere dei perfetti copisti. Nell’arte culinaria un piatto “copiato” non è considerato un falso. Anzi, è il sogno di ogni cuoco: vedere la sua creazione replicata all’infinito, senza aggiunte, sottrazioni, o ammodernamenti. La preparazione gastronomica, in questo caso, va considerata al pari di una altra qualsiasi opera d’arte. Puoi replicarla, ma non puoi sconvolgerla. La carbonara si fa in un solo modo e con precisi ingredienti. Ogni altra preparazione, diversa da quella scritta nella storica ricetta, non può definirsi tale. Nessuno osi chiamare carbonara un piatto dove al posto del guanciale trovi bacon, wurstel, tonno, zucchine, cipolla, burro, panna. Non esiste la carbonara di mare, di cielo, scomposta, rivisitata, arricchita, addolcita, leggera, esiste solo la Carbonara. Se vuoi onorare l’artista che l’ha creata devi riprodurla così lui l’ha fatta la prima volta. Non c’è via di mezzo. Le ricette sono sacre, e vanno rispettate. Una creazione gastronomica universalmente riconosciuta, va considerata al pari di una poesia di un grande poeta. Nessuno si sognerebbe mai di cambiare un aggettivo ad una poesia di Pascoli, Neruda, García Lorca, Pasolini, Dante. Non si può fare con le poesie dei poeti, non si può fare con le ricette dei cuochi.
Riprodurre una ricetta storica, ma anche contemporanea, è un rito che non ammette defezioni. Ci vuole una certa consapevolezza quando si affronta questa impresa. la ricetta va studiata. L’improvvisazione, in questo caso, non è ammessa. E quando si improvvisa succede che ordini pasta e patate ara tieddra, e ti arriva nu piattu di rigatoni al forno con patate, passata di pomodoro, uova, caciocavallo, salsiccia, besciamella, parmigiano, che sarà anche buono, ma non è pasta e patate ara tieddra. Se la chiami pasta e patate ara tieddra devi rispettare la ricetta. Stessa cosa per le mazzacorde che si fanno, come dice la storica ricetta, con trippa e budello di agnello o di capretto. Se invece usi un budello diverso o la trippa vaccina, nessuno ti arresa, ma non sono mazzacorde. Se nell’impasto della lagana ci aggiungi l’uovo, o usi solo una farina doppio 0, nessuno ti arresta, ma non sono lagane. Le melanzane per fare la parmigiana vanno fritte, se le fai al forno, o grigliate, nessuno ti arresta, ma non è una parmigiana. Ognuno resta libero di stravolgere una ricetta come gli pare. Ma bisognerebbe avere il buon gusto, che in questo caso è d’obbligo, di chiamarla in altro modo.