Italia Campione d’Europa, Sconcerti: superato il calcio all’italiana, è l’era della «Mancinità»

di Mario Sconcerti

Fonte: Corriere della Sera

Che significa essere campioni d’Europa? Cosa cambia del nostro calcio? Sappiamo che non succedeva dal ’68, ma pochi ricordano che quello fu un Europeo senza forma, con una finale in Italia e appena quattro squadre. Battemmo l’Unione Sovietica alla monetina, poi in finale venimmo surclassati dalla vecchia Jugoslavia ancora unita, pareggiammo a dieci minuti dalla fine con Domenghini. Non esistevano i tempi supplementari, il regolamento ordinava si rigiocasse due giorni dopo. Valcareggi cambiò non solo formazione, ma anche sistema di gioco, vincemmo 2-0, gol di Anastasi e Riva.ù

Il significato di quell’Europeo fu chiudere il nostro lungo dopoguerra del calcio, andare oltre la fine del Grande Torino e cancellare gli anni Cinquanta, inutili e dolorosi come i nostri anni dieci. Erano stati allora Milan e Inter ad accendere la strada per la Nazionale, è toccato oggi alla Nazionale indicare il cammino a quelli che non sanno più vincere. Non credo che questa vittoria ci riqualifichi nel calcio perché il calcio è una terra nostra, la frequentiamo da tanto tempo, nessuno si è mai permesso di dimenticarci. Il significato di questi Europei è l’annebbiamento, forse la fine, di una lunga leggenda che abbiamo costruito con dedizione per molti, moltissimi anni: il calcio all’italiana.

Non credo riusciremo a rimanerne lontani a lungo, né sarebbe giusto, però è cambiato almeno il modo di farci guardare dagli altri. Non era mai successo, nemmeno dopo i due Mondiali vinti. Siamo riusciti nella cosa più difficile, cambiare una lunga tradizione. È finito il calcio di strada, la convenienza, siamo entrati nella parte condivisa del calcio. Abbiamo messo a disposizione del mondo un grande metodo di calcio di cui tanti hanno usufruito e che conta ancora più imitazioni della Settimana enigmistica.

Ma abbiamo deciso di cambiare da soli. Conte, cinque anni fa, con la squadra che aveva agli ultimi Europei, fece un’impresa ad arrivare nei quarti e ad essere eliminato ai rigori. Ma anche Conte giocava all’italiana. I contropiedi erano elettrici come quelli di Mancini, ma nascevano dal profondo della squadra.

Oggi abbiamo aperto una via diversa al calcio, una sintesi tra il Nord del mondo e il suo Sud. Non è Contismo o Guardiolismo, è una diversità molto personale, la chiamerei Mancinità, una nuova categoria. Non è una rinascita, non è questo il significato. Quaranta buoni giocatori un Paese di sessanta milioni di persone, li troverà sempre. È cambiato il modo di farli pensare, e con questo, il nostro modo di seguirli. La gente non si è innamorata dell’Italia per i suoi risultati, prima del Belgio non avevamo davvero battuto nessuno. Ha amato la squadra per come si è subito sentita rappresentata dalla sua diversità.

Le Nazionali sono come le stagioni, da tempo non sono più quelle di una volta. Poche escono dal proprio campionato, ormai siamo un continente sovrapposto, tutti giocano dovunque. E nella selezione le squadre nazionali acquistano pubblico ma perdono qualità. Le grandi squadre di club sono non solo più forti delle Nazionali ma anche più omogenee, hanno imparato a stare insieme per sessanta partite non per sette, per anni e anni, non per un mese.

Ma le grandi Nazionali vanno oltre, sono identitarie, giocano ogni volta per un intero popolo, questo le moltiplica. Vanno capite e prese al volo quelle parti del Paese che spostano. In gioia, in idee, in abitudini. Le Nazionali cambiano qualcosa e vengono cambiate dalla propria gente. C’è uno scambio vasto, meno legato al tempo di una stagione. Per questo la Mancinità non avrà data di scadenza, da oggi è un principio, una ricetta, da agitare e usare secondo dosi. È il nostro nuovo regalo al calcio di tutti. Questo è il significato.