La deriva del Corsera contro chi deraglia dalla “retta via”

(DI DONATELLA DI CESARE – Il Fatto Quotidiano) – Già nei primi giorni di questa guerra sono circolati giudizi che stigmatizzavano chi osava anche solo sollevare qualche interrogativo. Allora si poteva forse essere ottimisti e credere che quegli inquietanti fenomeni di censura fossero dovuti al clima di apprensione provocato dall’evento bellico. E invece tutto è andato precipitando. Nei tre quotidiani Corriere della Sera, Repubblica, Stampa (quest’ultima ha perlomeno condannato le varie liste di proscrizione), così come nella maggior parte delle reti tv, marchi ed etichette censori si sono moltiplicati e sono emerse, come nulla fosse, le prime liste di proscrizione. Scherno e dileggio sono stati riservati a chi avesse l’audacia di criticare il governo e le sue scelte politiche sulla guerra.

Il “pensiero divergente” è stato superato via via dalle “opinioni difformi”, fin quando si è passati all’accusa di disinformare e diffondere fake news. L’apice di questa allarmante deriva autoritaria è la pagina del Corriere firmata da Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini. Nella conferenza stampa di ieri, Franco Gabrielli ha voluto giustificare l’intelligence sostenendo che non c’è stato “dossieraggio” e denunciando qualche infedele che ha passato le carte. Tuttavia, la profonda ambiguità resta, perché nel “bollettino sulla disinformazione” si legge che dalla seconda metà di aprile sono state registrate “narrative inedite” riguardanti anzitutto – è il primo punto – “le critiche all’operato del Presidente Draghi”. Si potrebbero citare anche altri punti. Ma questo sarebbe compito dell’intelligence? E, sebbene siamo ormai in tempo di guerra, dov’è il confine tra la disinformazione diffusa da altri Stati e l’opinione di privati cittadini? L’attività di indagine su “fonti aperte” sembra ben più penetrante di quanto si voglia far credere.

Resta poi la questione del Corriere che a quanto pare porta la responsabilità di aver indicato i nomi (e pubblicato immagini) che sul report non ci sono. Il problema sono però i modi e i fini. Le due giornaliste non si appellano alla coscienza democratica dell’opinione pubblica per denunciare il monitoraggio di influencer e opinionisti. Con tono apparentemente obiettivo lo riportano e lo potenziano. Questo, a mio avviso, è il punto. Sono evidentemente convinte della legittimità di distinguere tra la “retta via” dell’informazione – la loro – che diffonde verità e la disinformazione altrui che sparge fake news. Non si capisce quale sarebbe il criterio di una tale distinzione. E inoltre quale autorità decide? Sta qui la deriva autoritaria di cui non c’è neppure consapevolezza.

In democrazia non esiste un tribunale che decida che cos’è vero, né ci sono criteri oggettivi. La forza della democrazia consiste proprio in questo: che nel confronto aperto, dove perdono rilievo ed efficacia, le notizie senza base, si costruisce in comune la verità, che non può essere unica e definitiva.

Che vuol dire poi manipolazione? Chi manipola chi? Sotto un certo aspetto siamo tutti manipolati e manipolabili. Sotto un altro aspetto la democrazia ci aiuta a immunizzarci. Non è che se ascoltiamo la voce della propaganda russa nel nostro cervello entrino direttamente fake news – e perciò sarebbe richiesta la protezione di canali ufficiali o addirittura l’attività dell’intelligence. Questa è una visione grossolana e primitiva dell’informazione.

Il fine della pagina del Corriere della Sera è duplice: l’esposizione all’oltraggio di alcune persone, ma anche l’intimidazione verso chiunque continui a divergere dalla “retta via” della narrativa bellica. Non immaginavo che un giornale come il Corriere che, nel bene e nel male, era agorà del pluralismo, potesse prendere questa piega. E non immaginavo l’odio dei pretesi liberali verso chi dissente, il disprezzo, l’acredine, l’inimicizia. Di tutto ciò, peraltro, non conosciamo ancora gli effetti.