La follia del superbonus: perché è da eliminare

di Antonio Piccirilli

Il superbonus costa, e costa parecchio. Secondo gli ultimi dati Enea sono 33,7 i miliardi su uno stanziamento di 33,3 miliardi di euro. Si tratta di tanti soldi, decisamente troppi se mettiamo sul piatto della bilancia benefici e limiti della misura nata per efficientare gli edifici e rilanciare edilizia e Pil.

Per capire meglio di cosa parliamo e quali sono realmente le cifre che ballano è forse utile fare qualche confronto: lo scorso anno il tanto vituperato reddito di cittadinanza ci è costato 8,6 miliardi; per l’ex bonus Renzi (i famosi 80 euro in busta paga diventati poi 100 con il governo Conte) la spesa ammonterà a 28,3 miliardi di euro nel triennio 2020-2022, mentre l’assegno unico per i figli (che ha riassorbito tutte le agevolazioni destinate alle famiglie) ha un costo stimato di 18-19 miliardi di euro.

Abbiamo preso come esempio tre provvedimenti che richiedono un esborso non certo modesto, ma che (per quanto ovviamente criticabili) seguono un criterio di equità sociale e sono centrali nel nostro welfare. Qualcuno obietterà: certo, ma anche il superbonus ha un fine nobile: quello di contrastare la dispersione energetica e favorire la “transizione green”. E poi, si sente dire spesso, “il superbonus traina il Pil”. Il che sarà anche vero, in parte, ma a che prezzo?

Il superbonus è indispensabile per la transazione ecologica?

Uno dei problemi dei bonus edilizi è che vengono erogati a prescindere dal reddito, a chiunque ne faccia richiesta. Nel caso del superbonus al 110% la cosa balza molto di più agli occhi perché la spesa per lo Stato è enorme e l’incentivo particolarmente conveniente. Altro che conveniente, di più: non solo lo Stato ristruttura gratis la casa di privati cittadini, ma elargisce anche una sorta di favore fiscale del 10% a chi approfitta dell’offerta. Bene, a chi stiamo regalando tutti questi soldi? Secondo i dati Enea più della metà delle asseverazioni (91.444) riguardano edifici unifamiliari, ovvero villette, mentre i condomini sono 26.663 e il numero delle “unità funzionalmente indipendenti” (ovvero gli immobili dotati di accesso indipendente e con impianto idrico, per l’energia elettrica e per il gas di proprietà esclusiva) ammonta a 54.338.

In generale i costi delle ristrutturazioni sono molto elevati: per un condominio la spesa media è di 562.115 euro, mentre per gli edifici unifamiliari poco più di 113mila euro. Cosa ci dicono questi numeri? In primo luogo che il totale delle asseverazioni, 172.450, corrisponde all’1,4% dei circa 12,2 milioni edifici residenziali presenti in Italia. Il superbonus ha sì contribuito alla riqualificazione del patrimonio edilizio, ma i numeri sono troppo modesti per parlare di svolta green o di misura fondamentale per la transizione energetica. Tutto ciò, si intende, a fronte di costi elevatissimi per le casse dello Stato.

Il problema dell’equità

In secondo luogo si può osservare che quasi l’85% delle asseverazioni riguarda unità indipendenti o “funzionalmente indipendenti”. Per ristrutturare ville, villette e villini (quasi mai, diciamolo, dimora di chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena) la spesa sarà di circa 17 miliardi. Un dato che fa riflettere.

Numeri sul reddito dei richiedenti non ce ne sono, ma è ormai assodato che i bonus edilizi siano per varie ragioni appannaggio soprattutto delle classi sociali elevate. Come ha certificato anche la Corte dei Conti se oltre il 60 per cento dei proprietari più ricchi usufruisce delle agevolazioni sulla casa, questa quota scende al 9 per cento nella media della metà più povera della popolazione. E difficilmente il superbonus farà eccezione. Eppure secondo le stime della rivista “la Voce” sarebbe bastato introdurre un limite Isee di 50mila euro per ottenere un risparmio potenziale di 9,6 miliardi in 5 anni.

Ma è inutile tirarla troppo per le lunghe: come ha giustamente osservato il ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti la ratio dietro la misura è semplice: “Diamo soldi ai miliardari per ristrutturare le loro quinte case delle vacanze. Ride tutto il mondo”. Nei fatti, semplificando molto, le cose stanno più o meno così: un lavoratore a basso reddito, magari in affitto e impossibilitato ad accedere a un mutuo per comprare casa, si ritrova a pagare con le sue tasse l’ammodernamento di ville e appartamenti di chi ha un reddtito molto più alto del suo e nessun problema di denaro.

Le scorciatoie di una politica miope

Stupisce (o forse no) che di fronte a una misura così palesemente iniqua, costosissima e a ben vedere neppure fondamentale per la “transizione green” non si trovi un solo leader di partito disposto ad avanzare qualche dubbio. A richiamare le forze politiche alla realtà alla fine è stato proprio il presidente del consiglio che pur tra molte difficoltà è riuscito a delineare un’exit strategy per depotenziare la misura nei prossimi anni.

Dalla politica neppure un sussulto. Anzi, sussulti ne arrivano, ma per ribadire che il “superbonus fa crescere il Pil” e dunque non va toccato. Sarebbe disonesto negare il contributo degli incentivi all’edilizia nel trainare la ripresa, ma è molto più folle ritenere che un’agevolazione fiscale possa rappresentare il solo e unico rimedio alle scarse prospettive di crescita del Paese. Come ha ricordato lo stesso Draghi poi “non è che l’edilizia non funziona senza superbonus” altrimenti tutti gli altri Paesi “sarebbero a zero” in questo settore. A quanto pare non è così. E c’è di più: forse la notizia potrà suonare stramba alle orecchie dei nostri eletti, ma esistono Paesi che crescono più di noi senza neanche il fardello del superbonus. Chissà come faranno.