di Claudio Dionesalvi
Una mamma il Monaco la ha avuta, ma non la ha conosciuta: è morta quando era poco più che neonato. Una madonna la ha trovata in Teresa che fino all’ultimo istante lo ha sorretto e accompagnato. Quando penso a Teresa, mi convinco che l’amore esiste davvero.
Ogni volta che m’affiorano i ricordi del tempo trascorso insieme, lo rivedo ragazzino. Che strano! Quando l’ho conosciuto, non era vecchio, ma nemmeno adolescente: aveva già la nera barba scolpita da bianche striature.
Eppure, ragazzino me lo raffigura l’area del cervello che affratella memoria e sofferenza. Sempre gravido di ferite è il lutto, anche quando chi smette di vivere ci ha indicato i possibili sentieri che introducono ad altre dimensioni.
Eppure non riesco a sublimarlo. Prevalgono i ricordi di una soppressata gustata insieme, un venerdì, quando da precetto la carne non si mangia, nel refettorio del convento di Acri: “Mangia ma’, il cristianesimo è anche e soprattutto Altro”; i fuochi d’artificio innescati di notte e nel primo pomeriggio in località balneari, con l’arrivo dei carabinieri a sirene accese: “Padre Fede’, tutto tu eri. Ci hanno segnalato una sparatoria”; il bagno in un mare stupendo, lui con la posa da Big Jim e tutta la spiaggia intorno: “Ia cumu ta’ sìanti, Patreffede’”.
Al funerale di mia madre mi rifiutai di entrare in chiesa, ce l’avevo con la religione. Una mia forma di ritorsione per avermi reso orfano due volte, sui crinali della vita. Lui doveva celebrare, uscì dalla chiesa, mi venne alle spalle: “Ha’ rutt’i cugliùni, trasa dintra, sinnò a’ missa unn’a dicu o a’ vìagnu dicu fora, mmenz’a via”.
Ci faceva arrabbiare, il Monaco. E spesso eravamo noi a suscitare la sua ira. Ogni volta, poi, eravamo più amici di prima. Con quel saio si divertiva a sollevare ventate per farci cadere l’erba dal pianale mentre rullavamo: “Le canne vi fanno male”.
Una volta, nella Mensa, impugnò una forchetta e cominciò a mangiare nel piatto di Totonno, insieme a lui. Poi mi porse la forchetta.
-Fai il comunista? – mi sfidò – Mangia! Vediamo se te la senti di mangiare nel piatto di un povero.
-Monaco, il francescano sei tu. Quindi hai scelto di essere povero. Noi comunisti siamo contro lo sfruttamento e stiamo dalla parte dei poveri, ma non vogliamo la povertà.
-Ah sì? E come fai a capirli se non mangi dal loro piatto?
Sì, a volte si incapricciava come un bambino. Mollava sberle, il Monaco. Iu m’arricùardu. E pure calci, quelli veri, insieme a schiaffoni morali e metafisici. Li sferrò alle porte dei potenti in mia presenza, me li ricordo bene, uno per uno. Così come gli atti d’amore concreto verso le persone deboli, fragili, povere, indifese, le carezze date ai bambini e ai malati. Certo che me li ricordo!
Ma adesso mi sorge dentro Francesco, prima ancora che Fedele. Così si chiamava da laico, Francesco, quasi a segnare il destino vocazionale di un’intera esistenza. Non mi riesce di compiangere il mito in queste ore attraversate da lacrime improvvise che pensavo di non riuscire più a versare dopo aver perso mio fratello, tre anni fa. Mio fratello Franco, il poeta, del Monaco adesso avrebbe scritto: con lui si perde in terra un altro tassello che ascende a comporre il mosaico celeste. Se osservando il cielo, timido e incredulo mi spingo al di là delle stelle, il merito e la colpa sono anche suoi, di questa persona carica di energia.
Ciao Monaco, salutaci Salvatore, Gigi, Paoletta, tutte e tutti i nostri amici, compagni, fratelli e sorelle. E se davvero tra le pieghe dell’energia che gli scienziati chiamano “oscura” esiste una dimensione intuita e trasfigurata nelle religioni, abbracciami tanto mio padre e mia madre che ti amavano e mi mancano tanto. Come ci mancherai tu, pur sapendo che il vento sollevato dal saio al tuo passaggio, il ritmo dei tamburi di curva, scandito dai sandali che calzavi, cammina nelle utopie che inseguiamo e proviamo in parte a materializzare.
Tu, Francesco Bisceglia, Padre Fedele, sei stato per tante e tante di noi più di un padre: un amico di giochi, un complice, un fratellino da difendere, una Madonna protettrice. E sei stato amabile proprio per i tuoi umani difetti.
Per la storia rimani un uomo dalla fede incrollabile, un missionario impetuoso, un ribelle, un perseguitato. In una parola: un Ultrà.









