La Pentecoste del banchiere lancia il campo larghissimo

(DI DANIELA RANIERI – Il Fatto Quotidiano) – Mentre la grande stampa ci brasa coni e bastoncelli facendo terrorismo psicologico, lanciando anatemi e prospettando sciagure, disastri e calamità per la fine del governo Draghi (sempre sia lodato), cambia fisionomia il famoso “campo largo”, l’idea di Enrico Letta di buttare tutti dentro per battere la Meloni. Col M5S marchiato a fuoco dall’infamia di aver osato contraddire Draghi costringendolo a dimissioni di pura stizza, bisogna capire chi andarsi a raccattare per galleggiare alle prossime elezioni.

“Ora pensiamo a noi”, dice Enrico Letta ai gruppi parlamentari di Montecitorio, laddove l’espressione è da intendersi alla lettera (e del resto bisognerebbe capire a chi hanno pensato finora). Non si creda che il Pd intenda lavorare a una ridefinizione del programma nel senso della giustizia sociale per consolidare l’impronta progressista del fu campo largo, visto che il governo è caduto su questi temi e in teoria Letta avrebbe dovuto appoggiare Conte nella difesa di misure come il Reddito di cittadinanza. All’uopo preposto, un senatore di renziani natali, Marcucci, “apre l’interlocuzione con Gelmini e Brunetta”, come recita un raccapricciante e gustoso lancio d’agenzia, rinnovando loro la “grande stima” che il Pd gli porta in quanto ministri di Draghi, dunque praticamente sanificati dal berlusconismo per pura osmosi con Sua Competenza. Brunetta agevola l’interlocuzione uscendo dal partito di Berlusconi (che disdetta, proprio ora che dopo 28 anni ci stava convincendo a votare Forza Italia!), e così fa la Gelmini, ministra tra i Migliori per il merito di aver avviato i lavori, quand’era all’Istruzione, per un tunnel di neutrini sotto il Gran Sasso.

Al Pd mancavano giusto Brunetta e Gelmini: ora lo si potrà dire un partito di sinistra a tutti gli effetti, e se mai in qualcosa ha mancato negli ultimi anni, fregandosene dei poveracci, dei precari, degli studenti, degli insegnanti, degli operai e delle operaie, dei fattorini e delle fattorine, adesso vedrete che farà faville. Del resto i due ministri hanno sconfessato “il populismo” in cui sarebbe caduta Forza Italia (che prima ne era immune), e questa è la parola magica per entrare nel club degli eletti (non dal popolo: dalla sorte) filo-draghiani. Populista non è, invece, il “ce lo chiedono gli italiani” di Draghi, che mentre lo pronunciava era ancora formalmente il Presidente del Consiglio di una Repubblica parlamentare, non un capotribù pellerossa o un Emiro saudita con pieni poteri.

A proposito: Renzi intanto fa sapere che, se glielo chiedono per favore, potrebbe ri-allearsi col Pd, a patto che il Pd rinunci alle primarie in Sicilia coi 5Stelle (lui che in Sicilia ha fatto alleare Iv con Micciché guadagnandosi pure gli elogi di Cuffaro, salvo poi rinnegare il sostegno a Lagalla per insorgente fifa). L’apposito Faraone, nel Pd, invita il partito a disdire l’accordo. In questo modo, con un bel partitone acclamato dai giornali con dentro Renzi, Brunetta, Gelmini, Di Maio e le cariatidi indecorose dell’eterno Pd (un partito sempre più bellicista, atlantista e liberale di centrodestra), Draghi vincerà le elezioni.

In puro spirito, s’intende, giacché mai si abbasserà a presentarsi al voto davanti a quegli italiani che lo implorano di restare (sono italiani solo quelli dal Rotary in su: gli altri devono essere ospiti su suolo italico, migranti dal Paese dei Poveri), al che rivelando la natura di paralogismo della sua asserzione, cioè di ragionamento fallace, perché se è vero che gli italiani vogliono lui, allora non si capisce perché c’è tanto panico che vinca la Meloni. Non sarà che neutralizzando la politica e affossando ogni tema sociale ci troviamo la destra reazionaria anti-capitalista a fare gli interessi del popolo? Ma la Pentecoste draghiana calerà su tutti noi liberandoci dal male, amen.