Non mi stupisco affatto che si verifichino storie come quelle di Emmanuel e Chinyery, la colpa è dei cattivi maestri, della nostra classe dirigente che minimizza e sottovaluta un modo di pensare oramai diffuso nella nostra società, forse perché ritengono che la libertà di espressione comprenda anche l’offesa, l’insulto e l’ingiuria e che l’odio non sia un’arma che uccide la dignità di tutti noi.
Storie di bulli, non così cruente, le viviamo tutti i giorni, infatti, è da molto tempo che volevo scrivere qualcosa sui cosiddetti “stronzi”, lo so che non è elegante usare questi termini, ma alzi la mano chi non ha mai avuto a che fare almeno una volta con uno “stronzo” nel proprio ambiente di vita o di lavoro.
Di solito sono storie di aggressione personale, abuso emotivo o di supervisione, di dispotismo e di inciviltà. Il più delle volte non abbiamo nemmeno bisogno di chiedere nulla, poiché sono proprio gli “amici” che ci raccontano le loro storie di bulli. Un tempo me la prendevo più degli altri per gli sgarbi personali, soprattutto quando provenivano da persone maleducate, scorrette e insensibili. E siccome ancora adesso posseggo una buona capacità di ascolto, mi incuriosiscono di più le informazioni sugli “stronzi patentati” rispetto alle persone che fanno buone azioni o che sono particolarmente intelligenti.
Questo perchè alcuni ambienti sociali o lavorativi sono caratterizzati da una serie di “azioni interpersonali” che provocano in chi le subisce un senso di minaccia e di umiliazione, che spesso partono da persone che hanno più potere verso persone che ne hanno meno.
Comportamenti negativi da parte di colleghi e superiori che consistono in atteggiamenti offensivi e aggressivi come occhiatacce, mortificazioni, esclusioni, pettegolezzi malevoli e così via. Ad avvalorare questo è il “Terzo rapporto europeo sulle condizioni di lavoro, basato su 21500 interviste faccia a faccia con lavoratori dipendenti dei paesi dell’Unione Europea, il 9% del campione è vittima di intimidazioni e prepotenze reiterate”.
La ricerca europea evidenzia inoltre una certa frequenza dei maltrattamenti di gruppo ai danni di una persona, in cui intervengono sia uomini che donne. Insomma il tipico “stronzo” magari è un uomo, ma di tutti gli studi risulta un numero impressionante di donne che umiliano, mortificano e demotivano colleghi e sottoposti.
E’ vero che non c’è traccia di violenza fisica ne danni visibili, a meno che non si vadano a cercare i motivi del pallore facciale, del battito cardiaco accelerato e del numero crescente di visite mediche.
Non c’è dubbio però che i danni psicologici, a livello personale e aziendale, siano evidenti anche per chi ha voglia di chiedere e di ascoltare. Ciononostante, gli “stronzi” non fanno male solo alle loro vittime, ma le loro cattive abitudini avvelenano tutto l’ambiente lavorativo. Il problema è che se si sparge la voce che in un’azienda ci sono persone malevoli e maleducate, le ripercussioni sulla sua reputazione rischiano di allontanare i dipendenti migliori e minare la fiducia dei fruitori del servizio istituzionale stesso.
Per quanto mi riguarda, se qualcuno si comporta sempre in modo cortese e civile con uno sconosciuto o con una persona di livello sociale basso, vuol dire che è una brava persona. Per fortuna che ci sono ancora dirigenti che parlano continuamente del valore del rispetto reciproco e dell’impiego delle parole giuste, poiché, un semplice atto di cortesia non solo fa sentire meglio se stessi, ma spesso viene anche apprezzato dagli altri e premiato. Salvatore D’Acri