La storia sono loro: tv pubblica affare della famiglia Minoli-Bernabei?

di Tommaso Rodano

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Trattasi di vera e propria “Minoleide”. La trattativa “Stato-giornalista” per l’archivio di La Storia siamo noi (finalmente andata in porto con tanto di annuncio ufficiale, ndr) è solo la punta dell’enorme blocco di ghiaccio sommerso, nelle relazioni tra la Rai e Gianni Minoli.

Ricapitoliamo: il volto storico di Mixer ha lanciato la sua candidatura pubblica per il grande rientro in Viale Mazzini. Vuole una poltrona nel cda Rai, che entro l’estate dovrà essere rinnovato integralmente, compresi presidente e amministratore delegato. Minoli ritiene – peraltro in modo legittimo – di avere le qualità per ottenere anche la carica più alta, la presidenza occupata dal 2018 da Marcello Foa.

Oltre al curriculum, però, nelle sue interviste ha “allegato” alla candidatura una sostanziosa questione economica rimasta in sospeso da oltre 10 anni: nel 2010 l’ex direttore generale Mauro Masi gli ha regalato (con un accordo rimasto lontano dai riflettori) i diritti delle immagini di La Storia siamo noi, un archivio che contiene autemtiche gemme della storia nazionale. Lo ius di Minoli riguarda tre anni (2010-2013) e 576 ore di girato. Considerato che il valore di mercato oscilla tra gli 800 e i 1.000 euro al minuto, parliamo di un tesoro da una trentina di milioni di euro. Con una lunga lettera al Foglio, Masi ha confermato in sostanza lo svolgimento dei fatti, ritenendo la concessione dell’archivio a Minoli “una clausola che rientrava pienamente nella prassi e nel diritto comune” e che “spingeva le parti verso un’auspicata rinegoziazione per la quale concedeva ben dieci anni di tempo”.

I dieci anni sono passati senza che nessuno se ne occupasse, né la Rai né Minoli. Solo di recente se n’è ricordato il giornalista, che a questo punto vanta un credito di una certa rilevanza. E’ con questo impercettibile strumento di persuasione che Minoli ha iniziato a far considerare il suo profilo per le prossime nomine.

L’eventuale ritorno in Rai avrebbe del clamoroso. Non certo per le qualità del professionista, una figura di assoluta eccellenza nella storia del servizio pubblico. ma per il macroscopico conflitto d’interessi che porterebbe in dote Minoli nel cda o alla presidenza. Non solo e non tanto per la questione multimilionaria dell’archivio (a quel punto sarebbe trattativa “Minoli-Minoli”), ma per i rapporti commerciali ancora più pesanti che legano la tv pubblica alla casa di produzione Lux Vide di Matilde e Luca Bernabei, moglie e cognato di Gianni. La società lavora assiduamente con la Rai, alla quale ha venduto, tra gli altri, prodotti come Don Matteo, A un passo dal cielo, I Medici, Che Dio ci aiuti, Sotto copertura, C’era una volta Studio Uno. Il gioiello di famiglia di recente è stato messo sul mercato, ma anche se dovesse essere venduto (tutto o in parte) in tempi brevi, i Bernabei dovrebbero conservare incarichi operativi.

Ma c’è un’altra notizia che rimbalza tra i corridoi di Viale Mazzini che potrebbe trasformare il settimo piano – quello nobile della dirigenza – in un’autentica dependance di casa Minoli. Il ministro della Cultura Dario Franceschini starebbe valutando di spingere come prossimo amministratore delegato della Rai il suo uomo di fiducia (e segretario generale al Mibact) Salvo Nastasi. Lo scrive sul sito Sassate.it – generalmente ben informato sui fatti della tv pubblica – l’ex direttore Comunicazione della Rai, Guido Paglia.

Nastasi è sposato con Giulia Minoli, figlia di Gianni e Matilde Bernabei. Se si dovesse realizzare, anche in parte, la clamorosa triangolazione minoliana, per adesso frutto di suggestioni e (auto)candidature, ci sarebbe una concentrazione di potere spaventosa nella televisione nazionale.