La supercazzola leghista in Calabria e a Catanzaro (di Danilo Colacino)

di Danilo Colacino

<Antani, come fosse Antani, anche per direttore, supercazzola prematurata con scappellamento a destra>. Cosa? Ma è chiaro. Siamo di fronte a uno degli emblemi della grande commedia all’italiana, quella di Amici Miei o nella fattispecie – se preferite – della Lega in Calabria e segnatamente a Catanzaro dove il partito salviniano – dopo aver perso quota in maniera netta e aver già vissuto una sorta di faida interna nel giro di meno di tre anni, tre, con tanti candidati e aficionados di marzo 2018 e soprattutto gennaio 2020 da mesi sul piede di guerra – ha varato un coordinamento provinciale per radicarsi sul territorio.

Ma per quale ragione scomodare il sommo Mario Monicelli e i suoi indimenticabili “frizzi e lazzi”, peraltro dal retrogusto sempre un po’ amaro, a proposito di un comunque importante atto di democrazia interna? Semplice. Intanto, solo così per dire, perché il Carroccio in ambito regionale è commissariato ormai da tempo immemore con al timone il giovane deputato Cristian Invernizzi, che però è costretto a dividersi tra l’amata Lombardia (è nato e vive a Bergamo, anche se poi l’attività politica lo porta a “ciondolare” fra Roma e Milano) e una realtà calabrese per lui sideralmente lontana, sì da trasferire o delegare molti dei poteri avuti – quasi tutti in realtà – all’altrettanto giovane e per giunta autoctono (è originario di Chiaravalle) dirigente nazionale Walter Rauti.

Un alto funzionario leghista, quest’ultimo, che il giornalista fresco di assunzione (http://www.iacchite.blog/calabria-la-farsa-continua-i-giornalisti-privilegiati-della-casta-al-servizio-della-politica/) ad opera di Jole Santelli alla Regione, Pietro Bellantoni, appena pochi mesi fa definiva però una sorta di <oggetto misterioso> dalle colonne, pardon dalle pagine virtuali, del webgiornale per cui lavorava facente capo al Gruppo LaC. Un giudizio, almeno a mio avviso, persino fin troppo severo e caustico da cui era tra l’altro scaturita – com’è del resto è facile immaginarsi – la piccata risposta del diretto interessato. Chissà allora se adesso che dovranno forse collaborare se non proprio operando a stretto contatto, ma quantomeno insieme, faranno la pace.

Certo, proprio perché di animo profondamente monicelliano, la Lega più che sul Carneade (sia detto con il massimo rispetto, per carità) Bellantoni ha fin da subito sparato a palle incatenate contro la “sua” presidente JoySa, addirittura da prima di vederla eletta, essendo colpevole – secondo il partito di Alberto da Giussano – di recare il “peccato originale” di aver frustrato le velleità di governatorato del Sergìun (alias il plurisindaco Sergio Abramo) e di aver successivamente favorito la scalata alla presidenza del consiglio regionale di Mimmo Tallini (che, come noto, sa invece favorirsi alla grandissima da se stesso) a discapito dell’assai più gradito Re Bald…assarre (il consigliere Baldo Esposito). Due cari nuovi amici, Sergio e Baldo, rimasti dunque a bocca asciutta, anche se naturalmente caduti in piedi, a causa di Jole e Mimmo, che di conseguenza di simpatia dalla Lega ne riscuotono pochina.

Ma queste, ormai, sono storie vecchie anche se ancora…tese, dal momento che lo stesso Rauti e l’attuale governatore – diventata famosa per la passione per il ballo folk – hanno tuttora mille motivi per non legare. Anzi, ne hanno semmai tantissimi per divergere proprio, anche su punti chiave.

Articolo finito? No. C’è un post scriptum. E, guarda tu il caso, sempre di giornalisti e di loro deontologia si parla. Un tema fin troppo dibattuto dal sottoscritto negli ultimi due giorni. Il mio Ps scaturisce infatti dalla presenza nel direttivo provinciale di cui sopra, ovvero dei Verdi di Calabria, del primo direttore da me avuto (in verità all’epoca lui era caporedattore centrale) quando iniziai a scrivere per Il Domani poco meno di 20 anni fa. Si tratta di Massimo Tigani Sava, circa 24 ore orsono nominato referente dell’organismo partitico per l’area Jonica del territorio catanzarese. Ebbene, sgombriamo il campo da equivoci. Mi riferisco a un ottimo professionista. Uno bravo per davvero e lo dico, come ovvio, senza il benché minimo dubbio – o, peggio, ironia – ma forse emblema di una discutibile contemporaneità in cui un giornalista che decide in modo del tutto legittimo (ci mancherebbe altro) di iniziare un percorso politico neppure viene sfiorato dal dubbio di autosospendersi dal ruolo di informatore. Dimissioni temporanee, quantomeno fino alla durata del mandato espletato per conto di una parte (una fazione, insomma), per cui – è bene metterlo ancora una volta in risalto – non sussiste alcun obbligo di qualsivoglia natura, bensì soltanto (almeno a mio modesto parere) un gigantesco motivo di opportunità sempre in capo a chi – in ragione del delicato mestiere svolto – dovrebbe essere come la moglie di Cesare.