Tra le notizie dell’anno più importanti c’è anche la richiesta di condanna per politici e professionisti nell’ambito del processo, incardinato a Cosenza dopo essere uscito dalle maglie di Why Not, per il fallimento della società informatica Tesi.
Per capire meglio il tutto, però, dobbiamo fare uno sforzo di memoria e ripercorrere l’incredibile storia del saccheggio dell’informatica calabrese.
La madre di tutto è il Piano Telematico Calabria, il cosiddetto “Piano Telcal”. Dalla metà degli anni Ottanta fino al 2002. 409 miliardi di vecchie lire buttati via: pacchetti software inutili, lauti stipendi a manager più o meno preparati e più o meno motivati a lavorare in Calabria, ma soprattutto commesse miliardarie a Telecom (una volta Sip) e Ibm, che hanno venduto computer e reti a tutta birra.
Per contro, neanche un posto di lavoro creato e almeno 200 dipendenti senza un futuro. Non appena capisce che la “pacchia” del Piano Telematico sta per finire, Enza Bruno Bossio alias Madame Fifì si attiva per dare il via al progetto “scatole cinesi”.
Per De Magistris “il denaro pubblico è andato ad alimentare un sistema di collusione criminale con distribuzione di ruoli tra imprenditori, professionisti e pubblici amministratori, il cui fine, attraverso la costituzione di società o la partecipazione in società già costituite, era quello di percepire in modo illecito fondi pubblici per milioni e milioni di euro”.
Il sistema è rigorosamente bipartisan. La sinistra si sostituisce alla destra, ma non fa differenza.
Vediamo come funzionava.
Nel 2001 la Bruno Bossio “conquista” definitivamente Intersiel, diventandone amministratore delegato. Ma già da due anni era riuscita ad entrare in Sviluppo Italia, gestito dal centrodestra. Il suo compito è quello di entrare a far parte di tutte le società possibili e immaginabili e “prelevare” finanziamenti a più non posso. A un certo punto sono nove le società nelle quali svolge funzioni di amministratore o procuratore. Evidentemente in nome e per conto del marito, in pieno accordo con i leader del centrodestra (Forza Italia e Udc in particolare) con i quali ha un rapporto molto “stretto”.
Le più importanti: Intersiel, Sviluppo Italia, Sviluppo Calabria, Consorzio Telcal, Cm Sistemi, Tecnesud e altre tre “minori”. Il Piano Telematico Calabria chiude? E chissenefrega!
A questo punto occorre fare un passo indietro e ritornare al Crai, la creatura del professore Sergio De Julio che si era imposta nel mercato europeo e aveva camminato parallelamente al Piano. Esprimendo una forza innovativa incoraggiante. Chiusa la fase Telcal 1, dopo che i partiti si erano messi d’accordo, con la moglie di Nicola Adamo nel ruolo di “collante”, per far gestire il Piano a Finsiel, il più grande polo informatico nazionale sotto l’egida della Sip, a De Julio non resta che imprecare contro quell’errore “fatale”.
Anche perché, nel giro di pochi anni, il Crai viene estromesso dalla gestione e dalle attività del Piano. “Dovevamo compiere un salto di qualità – ricorda il professore -. Eravamo alla fine degli anni Ottanta, con un piccolo sforzo avremmo avuto la capacità di stare sul mercato e non dipendere più dai fondi pubblici. Chiesi ai soci di ricapitalizzare per avere un polmone finanziario in grado di sostenere le nostre iniziative. Si trattava di raccogliere due miliardi: se li confrontiamo ai 409 miliardi del Piano Telcal mi viene da ridere… I soci si rifiutarono di ricapitalizzare e io me ne andai. Che dovevo fare? E’ chiaro che nel giro di pochi anni il Crai diventò terreno di esercizio della politica locale e i risultati portarono al declino e alla chiusura”.
Dal Crai sono emersi venti docenti di alto livello, capaci di concepire l’informatica nella sua nuova accezione industriale. Da qui due corsi di laurea che sfornano professionisti in grado di trovare lavoro in poco tempo. I migliori elementi del Crai hanno anche aperto piccole aziende che si difendono bene sul mercato. L’esatto contrario delle tracce lasciate dal Piano Telematico…
Ma torniamo alla triste realtà finale. Abbandonato da tutti i tecnici più validi, il Crai stava per chiudere i battenti ma i circa settanta dipendenti rimasti sono riusciti ad autofinanziarsi e a creare la società Tematica, dalla quale poi è nata Tesi.
L’AFFARE TESI
Siamo nel 1994. Tesi viene tirata su con il supporto degli enti pubblici e di una serie di aziende private che hanno garantito ai lavoratori commesse vitali. Tra esse la fetta maggiore la occupava Ised, società informatica romana, allora guidata da Alleanza Nazionale. Nonostante il massiccio ricorso alla politica tuttavia Tesi non decolla. Tutt’altro. Nel 1996 sono in tanti ad accorrere al suo capezzale. La Regione vara addirittura un’apposita legge, la numero 14 del 17 giugno 1996, per la costituzione di una nuova società mista pubblico-privata, appunto la Tesi Spa.
In essa si leggeva testualmente che “la Regione Calabria è autorizzata a partecipare, per il tramite della Fincalabra, alla costituzione della Tesi Spa” e che “la Fincalabra è autorizzata a sottoscrivere quote di capitale sociale in misura non superiore al 30%”. Questo significava che si potevano ricevere commesse senza partecipare alle gare. L’ideale per rastrellare finanziamenti pubblici senza colpo ferire… La navigazione non è esaltante ma quantomeno si galleggia. Poi nel 1999, con Giambattista Papello nel ruolo di presidente di Tesi, arrivano 7 milioni di euro di commesse grazie ai progetti Ncc 17 e 18 per il censimento dei siti da bonificare. Una buona boccata d’ossigeno che però non risolve i problemi.
La situazione precipita nel 2001, quando entra in scena Antonio Gargano, presidente di Fincalabra. La sua gestione fino al 2004 viene definita disastrosa, al limite del saccheggio, nonostante abbia assorbito una enorme quantità di risorse pubbliche. Gargano promette a più riprese un piano di rilancio che non arriva mai e induce il presidente di Tesi, Rinaldo Scopelliti a intraprendere un’azione di responsabilità contro gli amministratori per le gravi irregolarità riscontrate.
Il referente politico di Gargano è Franco Morelli, di Alleanza Nazionale, direttore generale del Settore Obiettivi Strategici e capo di gabinetto del presidente della Giunta regionale Giuseppe Chiaravalloti. Nel Consiglio dì amministrazione di Tesi sono presenti praticamente tutti i partiti dell’arco politico. Sarà forse per questo che qualcuno riesce a “truccare” i bilanci? Fatto sta che Tesi ha debiti per quasi 2 milioni di euro ma il pesante passivo viene mascherato iscrivendo in bilancio un ricavo di 1 milione e 200 mila euro, giustificandolo come improbabile risparmio sulle imposte degli anni successivi. E le perdite? Appena 164 mila euro! La verità chiaramente è ben altra. Al 31 dicembre 2004 le passività si attestano sui 2 milioni 300 mila euro e si raddoppieranno alla fine del 2005. Quanto basta per chiedere l’intervento della Corte dei Conti. Ma tutto viene tacitato, anche se nel frattempo a Chiaravalloti è subentrato Loiero… Ecco perché in molti definiscono Tesi una sorta di Commissione bicamerale degli affari!!!
Il 15 settembre 2004 torna prepotentemente in scena Enza Bruno Bossio, a meno di due anni dal disastro finale del Piano Telematico. La moglie di Adamo, insieme al deus ex machina della Compagnia delle opere calabrese nonché re indiscusso del lavoro interinale, Antonio Saladino, con la complicità di tutta la politica calabrese, si inventa il Consorzio Clic (Consorzio lavoratori informatici calabresi), del quale è lei stessa presidente, che riunisce le società informatiche più rappresentative per dimensione e fatturato. Dalla Cm Sistemi Sud all’Abramotel, dalla Ifm alla Met Sviluppo, dalla Sirfin alla Why Not.
Ed entra nella compagine societaria di Tesi Spa, controllandola “di fatto” grazie a un “patto parasociale” con la Fincalabra che consente al Consorzio Clic di assumere il 42% del pacchetto azionario. L’operazione è chiaramente illegittima e irregolare, poiché si svolge nel più totale spregio della formale proprietà della maggioranza assoluta delle azioni in capo alla componente pubblica. Ma non solo: l’ingresso del Consorzio Clic si è realizzato attraverso una serie impressionante di artifici e raggiri. Questo “Clic” infatti non è mai stato selezionato, perché ancora non era formalmente costituito, mediante la procedura di evidenza pubblica di individuazione del socio privato, indetta nel luglio 2003, quando ancora la Bruno Bossio e Saladino non avevano messo nero su bianco la “megagalattica” idea… E’ chiaro che la moglie di Adamo e l’imprenditore avevano potuto contare su una fitta rete di complicità. Nella quale spiccano per importanza nientepopodimeno che Giuseppe Chiaravalloti, Agazio Loiero, Pino Gentile e Nicola Adamo. Tutti e quattro sono referenti politici di prim’ordine ma Chiaravalloti e Loiero sono anche azionisti di riferimento della Fincalabra…
L’obiettivo principale di “Clic” è quello di risanare la moribonda Tesi. Servono soldi. E subito. La chiave naturalmente è sempre Fincalabra. Antonio Gargano allora estrae dal suo cilindro magico un prestito di circa 3 milioni 600 mila euro e, dopo aver lasciato Fincalabra, assume la presidenza di Tesi. Alla fine stila tre contratti. Uno riguarda la cessione del credito: Tesi deve pagare Fincalabra e questa cede il suo credito a “Clic”, che così rileva un credito e non un debito. Il Consorzio restituirà i soldi a Fincalabra solo nel caso dovesse avere utili. Un “giro” a dir poco vorticoso… La magistratura non ha potuto dirci se “Clic” ha restituito i soldi o meno e se ha attivato commesse o meno.
Noi però possiamo affermare con sicurezza che Tesi non è stata mai pensata come un’azienda in grado di stare sul mercato. Doveva solo transitare soldi, destinati ad altri tipi di investimento, che avevano certamente un costo più alto del mercato. E’ per questo che si è creato un “buco” clamoroso che ha portato al fallimento. Tesi è stata allora un carrozzone, un pozzo senza fondo. Più che effettuare attività si drenavano risorse per pagare i dipendenti e i componenti del Cda ovvero i gestori delle società.
Per l’ ingresso di “Clic” in Tesi non è stato mai redatto un piano industriale credibile né tantomeno una sia pur minima organizzazione del lavoro. Il criterio per il quale dovevano arrivare le commesse, incredibile ma vero, era la “benevolenza”. Ma non solo: se davvero si voleva risanare Tesi, perché non la si faceva partecipare a tutti i bandi di gara? Il sospetto è che non si volessero disturbare le altre aziende, sempre interne a “Clic”, che avevano bisogno di vincere le loro brave gare… E allora Tesi avrebbe potuto funzionare come “copertura” per le società della Bruno Bossio, di Saladino e dei loro amici. La logica? Quella del “cartello”. Ogni azienda partecipava al Consorzio pensando di prendersi i soldi e soffiandoli agli altri concorrenti. Chissà che fine hanno fatto i soldi…
Qualcuno continua a dire che sono finiti in un “clic”.