L’altra auto rubata a Giambruno e i sospetti sugli 007: «Una storia bruttissima»

Il giornalista Andrea Giambruno deve essere davvero sfortunato con le auto. La storia del tentativo di furto (?) della sua Porsche parcheggiata sotto casa di Giorgia Meloni al Torrino a quanto pare va verso l’archiviazione. Anche se non è stato ancora identificato il secondo uomo che si aggirava vicino alla vettura nella notte tra il 30 novembre e il primo dicembre, mentre la premier era in volo per partecipare a Cop28. E rimane l’incredibile mistero della prima identificazione da parte dell’agente che ha visto i due uomini: prima aveva riconosciuto due uomini della scorta della premier. Poi ha cambiato versione. Intanto però a Giambruno di auto ne hanno rubata un’altra. Una 500 usata in passato anche da Meloni. Mentre emerge che i due agenti accusati quel giorno non ricoprivano più quell’incarico.

Cosa non torna

La notte del 30 novembre, ricostruisce oggi il Corriere della Sera, viene avvicinata da due persone con fare circospetto. Si trova in zona Eur Torrino, periferia sud di Roma. Alcuni agenti che sono lì fermi con le auto vicino alla casa per questioni di sorveglianza li notano. Ed è curioso che invece le due persone, se davvero volevano rubare la vettura, non si siano invece accorti della presenza di poliziotti, anche se in borghese, appostati lì vicino. Poi succedono altre cose ancora più curiose. La prima è quando gli agenti intervengono i due mostrino un tesserino e si allontanano. Una poliziotta però prende il numero di targa e il giorno dopo racconta l’episodio nel verbale di fine servizio. A quel punto scatta l’allarme: la Digos informa il capo della polizia Vittorio Pisani che fa sapere tutto al ministro dell’Interno Piantedosi.

Il riconoscimento sbagliato

Anche il sottosegretario ai servizi Alfredo Mantovano e i vertici dell’Aisi vengono informati. E naturalmente fanno sapere tutto a Meloni. La poliziotta effettua un riconoscimento fotografico. Le vengono mostrati, tra gli altri, i volti di due uomini della scorta di Meloni. Lei conferma una somiglianza. Ma il 16 novembre quei due agenti avevano chiesto di essere trasferiti. Il 30 non ricoprivano più l’incarico. Il 15 dicembre sono stati trasferiti all’Aise (ovvero ai servizi segreti esteri) e mandati uno in Tunisia e uno in Iraq. Anche perché, hanno fatto sapere i giornali, pure la premier li aveva «puntati» lamentandosi del loro comportamento, anche se per motivi sconosciuti. La Digos indaga sulle celle telefoniche e scopre che i telefonini dei due sospettati si trovavano in altre zone. Questo basta a scagionarli?

La poliziotta cambia versione

Ad occhio parrebbe proprio di no. In primo luogo andrebbe spiegato perché alla poliziotta che doveva effettuare il riconoscimento sono state mostrate le foto di quei due agenti. Tanto più che la polizia non poteva non sapere che all’epoca non facessero parte della scorta. In secondo luogo la prova delle celle telefoniche pare piuttosto ballerina, visto che non stiamo parlando di una baby gang ma di poliziotti che conoscono i metodi d’indagine e quindi, in teoria, sarebbero anche in grado di sapere come aggirare i riscontri “classici” come quelli delle celle telefoniche. A questo punto le indagini virano sui ladri d’auto. La poliziotta riconosce un’altra persona, che ha precedenti specifici. Ma anche qui è strano che una professionista abituata ai riconoscimenti abbia così clamorosamente sbagliato una delle due volte. Senza voler ipotizzare quale.

L’altro furto

Infine c’è il secondo furto. Lo racconta oggi Il Foglio e riguarda una 500 che in passato sarebbe stata usata anche dalla premier. Il collegamento con il primo episodio è piuttosto labile. Anche se questo avvalora di sicuro più la seconda pista d’indagine rispetto alla prima. Anche se dentro Fratelli d’Italia invece c’è chi pensa che tutto sia collegato. E che si tratti di «una storia bruttissima».