Era “un gruppo ben strutturato, composto principalmente dalla coppia Castriota-Ferraro, che si è mosso al fine di conferire incarichi al secondo o, comunque, ad amici compiacenti disposti a nominarlo, al fine di percepire compensi, se effettivamente legittimi e dovuti per la totalità è da verificare, in procedure capienti nelle quali ‘c’è una marea di sordi’ da spartirsi”.
E’ questo il profilo che traccia il giudice per le indagini preliminari di Perugia Natalia Giubilei nell’ordinanza con cui ha disposto tre misure cautelari tra cui quella del gip del Tribunale di Latina, la cosentina Giorgia Castriota e del professionista Silvano Ferraro finiti entrambi in carcere giovedì mattina con l’accusa a vario titolo di corruzione per atti contrario ai doveri di ufficio, corruzione in atti giudiziari e induzione indebita a dare o promettere utilità. Scrive il giudice che l’accordo oggetto dell’indagine della Procura di Perugia era di riversare una parte dei soldi “a Castriota, che quelle nomine ha favorito ed avallato, in completa violazione di legge ed in esecuzione di un disegno criminoso ben delineato, che suggerisce l’esistenza di uno schema collaudato che va avanti da anni e che, verosimilmente, si è realizzato, come dovrà essere verificato, anche in altre occasioni”. “La personalità che è emersa relativamente a Castriota – si legge ancora nell’ordinanza – è quella di una donna che ha bisogno di soldi, ma non perché il suo stipendio sia oggettivamente basso, percependo oltre 3mila euro mensili, ma perché si ostina a voler vivere al di sopra delle proprie possibilità economiche, abitando in affitto a Roma, verosimilmente a motivo della relazione col Ferraro, ma lavorando a Latina, con tutto ciò che ne consegue in termini di spese ordinarie; né la stessa sembra voler rinunciare all’acquisto di oggetti di lusso, come gioielli o orologi”.
Secondo il magistrato “ha quindi pensato di sfruttare il proprio ruolo per lucrare sulle nomine del compagno e di amici, dai quali farsi poi remunerare quale atto dovuto; la chiarezza delle intercettazioni è lampante, arrivando a domandare alla domestica che ‘interceda’ presso Ferraro per farsi dare “qualche soldino in più”. La Castriota faceva insomma un uso distorto della propria funzione di magistrato per perseguire tale obbiettivo: sequestri originari, emessi ragionevolmente in maniera legittima e sulla base dei presupposti di legge, o almeno non vi sono allo stato delle indagini elementi per affermare il contrario, hanno costituito l’occasione per porre in essere le successive condotte delittuose, a cominciare dalle nomine di favore”.
Ferraro, sottolinea ancora il gip, “si è rivelato, oltre al compagno della Castriota, l’anello di congiunzione fra quest’ultima che, a causa del ruolo, doveva restare formalmente estranea a certe dinamiche, ed i professionisti. Non solo coadiuva Castriota nella attività di gestione della procedura, ma ne indirizza l’attività giudiziaria ed è determinante nel conferimento di incarichi, rivolgendosi ad amici di vecchia data sollecitando le liquidazioni in favore dei professionisti “raccomandati”, ricavandone cospicue utilità: da un lato infatti riceve a sua volta, dai soggetti dei quali ha mediato la nomina, incarichi all’interno delle procedure; dall’altro è verosimile riceva denaro non dovuto da questi ultimi, sia formalmente per fatture emesse a titolo di ‘consulenza’”. E dall’ordinanza emerge anche che il giudice era venuta a conoscenza dell’indagine tanto da avere provveduto a distruggere il proprio telefono. Questi comportamenti hanno portato a ritenere necessario l’arresto visto che gli indagati avevano già iniziato ad inquinare il quadro indiziario. Fonte: Latina Today