Il primo a parlare della strage di via Popilia avvenuta nel novembre del 2000, dove persero la vita, massacrati a colpi di kalashnikov, Benito Aldo Chiodo e Francesco Tucci, fu Franco Bevilacqua, per tutti Francu i Mafarda, divenuto collaboratore di giustizia nel 2001. La strage fu concepita e portata a termine insieme ad altri, proprio da Franco Bevilacqua con una crudeltà incredibile.
Così raccontava Francu i Mafarda agli investigatori: “Siamo partiti per compiere l’omicidio da dietro i campetti di calcio e con me c’era ‘Ntacca (Gianfranco Iannuzzi, poi scomparso per lupara bianca). Abbiamo usato una macchina rubata ma quelli che erano andati a prenderla hanno trovato un posto di blocco prima del Parco Robinson e perciò hanno ritardato di una ventina di minuti… Noi eravamo preoccupati perché non arrivavano… Così, quando sono arrivati, abbiamo fatto tutto in fretta sbagliando a inserire dei caricatori e si sono inceppate due armi… In questo fatto di sangue siamo coinvolti in parecchi dagli specchietti agli esecutori…”.
Da ben 20 anni i magistrati antimafia erano a conoscenza dei nomi e cognomi degli esecutori materiali di questo duplice omicidio. E la domanda sorge spontanea: perché nessuno è intervenuto dopo le dichiarazioni di Francu i Mafarda, testimone oculare del crimine, e complice degli assassini? Mah!
Bisogna aspettare 18 anni per arrivare all’arresto dei responsabili: Antonio Abbruzzese (48 anni), Luigi Berlingieri (48anni), Saverio Madio (56 anni), Celestino Bevilacqua (57 anni), Fiore Abbruzzese (52 anni), ad opera della Dda di Catanzaro a seguito di una lunga indagine condotta dalla Dia.
Una indagine che si è avvalsa delle dichiarazioni di un altro pentito, Franco Bruzzese. Altro pezzo da 90 del cosiddetto clan degli zingari. Pentito da quasi 6 anni e altrimenti detto Francu u zingaru. Detentore di tutti i segreti del clan.
E’ una fonte inesauribile Franco che, ricordiamolo, insieme al fratello Giovanni, e ai “Banana”, è stato tra i promotori dell’ascesa criminale del clan degli zingari a Cosenza.
Racconta di tutto Franco: a partire da “vecchi omicidi” come la strage di via Popilia, appunto, per poi passare ai tanti casi di lupara bianca avvenuti nella nostra provincia, come quello del “brasiliano”, ovvero Massimino Speranza 21 anni di Cosenza, sparito l’11 settembre del 2001 a via Popilia e quello di Antonio Benincasa alias “Vallanzasca”, scomparso il 22 maggio del 2003.
Ma non solo di omicidi e rapine parla Franco. “U zingaru” racconta anche dei rapporti tra il clan e la politica, e fa nomi e cognomi di diversi consigliere comunali che con lui, e i suoi ex sodali, hanno avuto a che fare. Campagne elettorali totalmente gestite dal clan, in “materia” di servizi e “pubblicità”. Voti in cambio di favori e piaceri vari. Franco fa i nomi, ai pm antimafia, dei referenti politici dei vari clan a Cosenza. Racconta di affitto di palchi, manifesti, concerti, e promesse varie. Non lesina particolari nel racconto.
Ora, alla luce di questo una considerazione sorge spontanea: se per mandare in galera gli esecutori materiali della strage di via Popilia, gli investigatori si sono serviti delle dichiarazioni di Franco Bruzzese, questo vuol dire che le sue cantate sono state ritenute attendibili, al contrario di quelle di Francu i Mafarda che per 17 anni non sono servite a niente. Anche se rimane un dubbio: le dichiarazioni di Francu i Mafarda rese sulla strage di via Popilia 20 anni fa, coincidono con quelle di Franco Bruzzese. E se coincidono perché quelle di Francu i Mafarda non sono state mai prese in considerazione?
Allora c’è da chiedersi: le dichiarazioni di Francu u zingaru varranno anche per i politici che chiama in causa, o succederà come è già successo con le dichiarazioni di Lamanna e Foggetti ritenute attendibili solo quando parlano di criminalità, e non quando fanno i nomi di Occhiuto, Manna, Paolini e Greco? Vedremo se la musica è sempre la stessa o è cambiata. A Gratteri l’ardua sentenza.