(DI ILARIA PROIETTI – Il Fatto Quotidiano) – Enrico Letta prova a tenere insieme le truppe che sulla giustizia rischiano di andare in ordine sparso, anzi già lo fanno. E nel corso della segreteria di ieri è stato costretto a fare i salti mortali per tenere a bada gli animi e indicare la via: che fare in vista del 12 giugno quando si andrà al voto sui referendum della Lega che in molti nel Pd condividono alla lettera?
“Una vittoria dei sì ai referendum aprirebbe più problemi di quanti ne risolverebbe. Perché non è con i referendum che si fa una riforma complessiva. Mi interessa dire che noi siamo i progressisti, i riformatori: non dobbiamo avere una sudditanza psicologica rispetto a proposte che vengono da sette consiglio regionali del centrodestra” ha detto il segretario dem lasciando aperta la porta a un ma, anzi un maanche, che sembra un portone: “Io proporrò un orientamento di fondo. Il Pd non è una caserma, c’è la libertà dei singoli che resta in una materia delicata come la giustizia”.
Quindi la riflessione, diciamo così, continua e le pressioni pure perché il tema è di quelli che scotta in casa dem. Specie sul referendum che punta a cancellare la legge Severino che si è abbattuta come una mannaia su tanti amministratori, sospesi, decaduti, diventati ineleggibili, causa guai con le procure. Che al Nazareno si son fatti sentire eccome per chiederne l’abolizione o insomma un allentamento che però sarebbe la pietra tombale per i rapporti con gli alleati dei 5 Stelle: lo scorso anno il Pd aveva anche depositato una proposta di legge per cancellare gli articoli 8 e 11 della norma varata nel 2012. Per quanto riguarda gli amministratori locali, secondo la legge Severino, non possono essere candidati coloro che hanno riportato condanne definitive per delitti di mafia e terrorismo; per reati di corruzione e concussione in tutte le nuove declinazioni introdotte dalla legge stessa; coloro che hanno riportato condanna definitiva superiore ai due anni per delitti non colposi; coloro che hanno subito una misura di prevenzione con provvedimento definitivo. Nei due articoli più problematici, l’8 e l’11, si prevede la decadenza o la sospensione degli amministratori locali anche nel caso in cui abbiano riportato condanna non definitiva per tutti i casi di incandidabilità.
Letta adesso assicura che rivedere la Severino si può, anzi si deve. Ma è meglio che se ne occupi il Parlamento lasciando intendere che se anche fallirà il referendum non sarà impossibile trovare una maggioranza per approvare le modifiche che sotto sotto piacciono a molti partiti anche se molto meno agli elettori.
Andrea Marcucci si mette avanti col lavoro intanto rivendicando mani libere e libertà di coscienza alle urne referendarie: “Come garantista, sottolineo che sulla Severino e la carcerazione preventiva è necessario intervenire, il mantenimento dello status quo è deleterio”, dice l’ex capogruppo al Senato che fa cadere il tabù pure sull’altro quesito, altrettanto controverso, che punta a escludere l’applicazione della misura cautelare per un’infinità di reati che pure non son da poco. Un tema che per l’ex capo dei senatori del Pd, va affrontato a prescindere perché “il 12 giugno è un’occasione per ribadire la centralità della giustizia: ricordiamoci che in ogni caso, il Parlamento dovrà sciogliere questi nodi”.
Un po’ come dice anche Matteo Renzi che ha firmato i referendum e voterà a favore, ma già pensa al dopo: “Il tema della riforma della giustizia rimane sul piatto”. E pare una minaccia ma non certo per quella bella fetta del Pd che scalpita sui referendum ma pure sull’alleanza con i “manettari” del M5S che boicotteranno i quesiti. Tanti ieri hanno apprezzato l’iniziativa di Stefano Ceccanti e Enrico Morando che hanno anticipato la segreteria con un intervento sui giornali per annunciare che voteranno sì almeno a tre quesiti. Quello che punta a introdurre sostanzialmente la separazione delle carriere dei magistrati azzerando la possibilità di passare dalla funzione giudicante a quella requirente (e viceversa) e “a rendere effettivo ed esigibile il diritto del cittadino, nel processo giusto, a essere giudicato da un soggetto terzo rispetto al magistrato della pubblica accusa e all’avvocato della difesa” hanno scritto prendendo a sportellate il responsabile dem alla giustizia Walter Verini messo in croce perché dice no al referendum mentre ha condiviso la riduzione a un solo passaggio di funzioni nella carriera dei magistrati previsto dalla riforma Cartabia. Per Ceccanti e Morando anche per il quesito sul sistema di valutazione dei magistrati, la coerenza tra lavoro parlamentare e il sì al referendum è evidente. Ergo “è imperscrutabile” il no al referendum e pure il no al quesito sul sistema elettorale per il Csm anch’esso oggetto della riforma Cartabia che il Senato deve ancora approvare. Conclusione: “Per queste ragioni non solo noi voteremo comunque sì, ma soprattutto invitiamo la direzione del Pd a evitare di assumere posizioni che ne minerebbero la credibilità riformista”
Queste le ragioni di principio di Ceccanti e Morando. Figurarsi quelli che nel Pd accarezzano l’idea che nello stesso giorno si possa consumare la vittoria sulla giustizia e pure la disfatta alle amministrative dei 5Stelle. Per questo la tribuna referendaria è un’occasione ghiotta per marcare le distanze. Gianni Pittella e Salvatore Margiotta, per dire, i quesiti li voteranno tutti e con convinzione.
E già che ci sono oggi parteciperanno alla maratona oratoria organizzata in piazza Montecitorio in occasione del 34esimo anniversario della morte di Enzo Tortora per onorarne la memoria e rilanciare la battaglia per una giustizia giusta con il voto del 12 giugno. In buona compagnia di radicali, una spolverata di centristi e pezzi da novanta di Forza Italia: l’evento a cui partecipa il presidente di Italia Viva Ettore Rosato in prima fila insieme allo stato maggiore della giustizia renziana, verrà trasmesso integralmente su Radio Leopolda. Marchio di fabbrica del partitino dell’ex rottamatore.