L’eterna Tangentopoli. Per nove italiani su dieci non è cambiato nulla

(di Ilvo Diamanti – repubblica.it) – Il 9 dicembre ricorre la “Giornata Internazionale contro la corruzione”, un’occasione per porre l’attenzione sulle conseguenze di un fenomeno tanto diffuso quanto persistente. E … resistente. D’altra parte, sono trascorsi più di 30 anni. da quando le inchieste riassunte con la definizione “Mani pulite” hanno rivelato e denunciato quanto fosse ampio e radicato il fenomeno della corruzione politica in Italia. Eppure, nonostante il tempo passato e le iniziative prese per contrastare questo problema, una larga maggioranza di italiani ritiene che Tangentopoli non sia mai finita.

Opere pubbliche e interessi privati

È quanto emerge da un recente sondaggio condotto da Demos e Libera, che di-mostra come quasi quasi 9 persone su 10 pensino che, rispetto all’epoca di Tangentopoli, sia cambiato poco. O niente. Certo, nell’ultimo anno la quota di coloro che ritenevano la corruzione politica più diffusa si è ridotta in modo significativo: dal 31% al 23%. Ma si tratta, comunque, di una misura analoga a quanto si osservava nel 2020. Prima, cioè, che l’irruzione del Covid ridefinisse l’agenda delle preoccupazioni e delle paure espresse dai cittadini. Oggi, comunque, secondo una larga maggioranza di persone gli ambiti maggiormente interessati e degradati dalla corruzione sono gli appalti per le grandi opere. E, quindi, la politica a livello nazionale. Lo stesso problema appare, inoltre, rilevante – e preoccupante – anche nei concorsi pubblici e nella gestione delle carriere. In altri termini, dove subentrano gli interessi personali. Collegati, soprattutto, ai percorsi professionali. Nel settore privato ma, soprattutto, pubblico. Tuttavia, la corruzione, o quantomeno la “correzione” e il condizionamento delle scelte pubbliche, diventano utili anche per ottenere servizi essenziali nell’ambiente universitario e della sanità.

La richiesta di trasparenza

Insomma, come abbiamo già rilevato in altre occasioni, nell’opinione pubblica la corruzione tende ad essere percepita come una “necessità”, più che una “deviazione”. Un metodo per favorire e agevolare il funzionamento di attività di interesse non solo imprenditoriale e politico. Ma sociale e personale. Più che di “corrompere” si tratta, cioè, di “rompere” le procedure previste dal sistema pubblico per ottenere non privilegi ma servizi. Per accedere a iniziative e attività di utilità “comune”. Non “particolare”. Anche se proprio questo aspetto sottolinea “il vero problema”. Perché segnala come il dis-funzionamento del sistema pubblico generi “distanza” fra le persone e i luoghi, i canali dove trovare risposte e affrontare le difficoltà che i cittadini incontrano nella vita quotidiana. Oppure, nel percorso professionale. Ricorrendo, per questo, a metodi impropri e irregolari. In particolare, quando si tratta di affrontare “concorsi” o “percorsi” professionali. Per questo motivo, fra i cittadini, negli ultimi anni è cresciuta sensibilmente la domanda di “trasparenza nei bandi”. Mentre rimane elevata la richiesta di rafforzare i luoghi e i sistemi di controllo pubblico, come l’Anac (Autorità Anticorruzione”) e la Procura nazionale antimafia.

Il rischio normalizzazione

Tuttavia, “il vero problema” resta quello già segnalato in precedenti indagini. Contrastare la tentazione di “normalizzare” la corruzione. Trattandola, cioè, come un sistema “normale”, comunque, “inevitabile” per favorire il funzionamento delle istituzioni e dei servizi. Senza ridurre le garanzie a metodi di “controllo dall’alto”. Perché, come sottolineano Francesca Rispoli e Alberto Vannucci, i ricercatori di Libera, «il controllo dall’alto, pur necessario, non basta senza un controllo dal basso, diffuso e competente, a cui contribuiscono associazionismo, volontariato e realtà civiche».

Per questo motivo non possiamo e non dobbiamo “dimenticare Tangentopoli”. Perché non segnala una semplice “deviazione” del nostro sistema democratico. Un incidente di percorso. Ma un rischio che incombe. E può riproporsi nuovamente. Soprattutto se dimentichiamo che “la nostra democrazia” è una “conquista conquistata” dai cittadini con fatica e determinazione. Ma in modo, però, mai “definito e definitivo”. Perché la democrazia può cambiare. E cambia. Non sempre in modo positivo. È sufficiente guardarsi intorno. Oltre ma anche dentro i nostri confini. La democrazia va ri-costruita, un giorno dopo l’altro. Senza sosta. Senza attendere che si rompa. O si … corrompa.