Questa lettera non vuole essere la “seconda puntata” di quella precedente (https://www.iacchite.blog/lettere-a-iacchite-cosenza-mia-madre-sordomuta-lasciata-morire-legata-al-letto/), né tantomeno un ulteriore quanto inutile attacco al reparto di Geriatria dell’Ospedale dell’Annunziata di Cosenza. Penso di aver già detto, con profonda tristezza, tutto quello che c’era da dire in merito all’uccisione di mia madre. E lo ribadisco, mia madre è stata uccisa, e questo non è piaciuto al primario di Geriatria dell’Annunziata.
Il 29 dicembre sarà l’anniversario del tragico evento che ha sconvolto me, e tutti i miei familiari e amici. Dopo circa dodici mesi di indescrivibile e indelebile dolore, qualche giorno fa ho pensato a due episodi che mi hanno fatto riflettere. Il primo: avete presente la “vocina guida elettronica” dei numeri verdi? Bene, un anno fa mi giungeva una telefonata dall’ospedale dove, con lo stesso tono asettico e metallico della “vocina elettronica”, una voce femminile mi comunicava con uno stringato quanto essenziale e disumano mi dispiace, questa, per me drammatica, frase: “sua madre non ce l’ha fatta… Click”. Quello che mi ha colpito di questa telefonata lampo, aggiungendo altro dolore al già immane dolore, è stata la totale mancanza del dovuto garbo e rispetto, nel comunicarmi la morte di mia madre, che queste circostanze meritano. Una mancanza di tatto e sensibilità che mi ha impietrito. Quella che ho ricevuto è stata una mera comunicazione in automatico priva della benché minima umanità.
Il secondo: sempre telefonicamente, nemmeno 10 giorni dopo la prima lettera inviata a Iacchite’, dove denunciavo lo stato di abbandono in cui era stata costretta mia madre nei suoi ultimi giorni di vita, mi contatta il dottor Fimognari che, dopo la classica retorica di circostanza, svela il vero motivo della sua telefonata, e dice: “… però la parola “uccidere” che lei ha usato nella lettera se la poteva evitare”. E aggiunge dopo una breve pausa di presunta indecisione: “… e poi poteva anche evitare di mandarla proprio a Iacchite’”. E chiude la telefonata chiedendomi un appuntamento per parlare di persona. Gli diedi una data a caso perché non avevo intenzioni di andarci. Non avevo voglia di rivivere quei momenti. Ma soprattutto non avevo voglia di spiegare a chi ritengo responsabile, il perché della mia denuncia.
Scrivo ciò perché dopo questi due episodi, e dopo dodici mesi di dolore, ancora non trovo giustificazione a tanta malvagità. Il dottor Fimognari più che preoccuparsi di darmi le dovute spiegazioni sul perché ha negato a me e ai miei familiari di sopperire alla loro noncuranza con la nostra presenza a fianco di nostra madre sordomuta, si è preoccupato del danno di “immagine” che la mia lettera aveva provocato alla sua professionalità.
Non mi permetto di giudicare la bravura o meno del dottore, ma mi permetto di giudicare l’umanità di chi ogni giorno cura gli ammalati. E nella triste vicenda che mi ha segnato, di umanità non ne ho visto.
Raffaele Zupo