Lettere a Iacchite’: “Cosenza, di malasanità si muore. Anche più volte”

Di malasanità si può morire più volte, in più forme. Molto probabilmente non c’è persona che in Calabria non lo abbia sperimentato almeno una volta sulla propria pelle.  A volte le responsabilità si confondono, a volte sono di un’evidenza tale da far rabbrividire.
Mio padre di malasanità è morto più volte. 
Nel 2009 viene operato per un cancro alla laringe, con asportazione totale delle corde vocali. Chiunque conosce la necessità di provvedere quanto prima all’inizio della terapia post-operatoria affinché le possibilità di sopravvivenza siano adeguate.
Mio padre viene operato a marzo. Inizia chemioterapia e radioterapia solo a settembre. Passano 6 mesi di disperazione, impotenza, mentre io e mia madre veniamo rimbalzate  da un ufficio a un altro, senza che ci sia qualcuno in grado di darci un supporto, un aiuto.
Solo chi ha vissuto insieme a un malato oncologico conosce i disservizi e le assurdità del nostro sistema sanitario.
Passano i mesi, poi gli anni.
Mio padre sopravvive.
10 anni dopo ritorna l’incubo. Una mattina rimane completamente bloccato con le gambe, sotto la doccia. Da lì la sua salute si aggrava notevolmente fino a costringerlo a rimanere chiuso in casa. Prendiamo contatto con più neurologi. Gli viene diagnosticato inizialmente il Morbo di Parkinson, poi si ipotizza una possibile ripresa del tumore che avrebbe potuto raggiungere il cervello.
Siamo a giugno, per riuscire ad avere una diagnosi corretta, dobbiamo aspettare settembre e cambiare almeno 3 medici.
Sì, settembre, ma per un pelo, perché ci viene comunicato che il reparto di neurologia dell’Annunziata da lì a breve avrebbe chiuso il day hospital per mancanza di personale.
Finalmente conosciamo il nome della malattia, si tratta della CIDP, una forma di neuropatia rara che colpisce i nervi periferici. L’unica terapia utile e possibile è l‘immonoglobulina, ma per poterla iniziare sarà necessario aspettare ancora perché esiste un iter burocratico a cui adempiere; occorre avere una specifica esenzione per malattie rare per poter iniziare la terapia in ospedale.
Ma per i pazienti affetti da CIDP, l’accesso alle cure è fondamentale per conservare l’autonomia fisica. Ciò offre loro la possibilità di condurre una vita normale, dal punto di vista sociale, professionale e familiare. Per alcune neuropatie periferiche acute, addirittura  l’accesso alle immunoglobuline è una questione di vita o di morte.
Nel frattempo sono passati invece 4 mesi, 4 lunghi mesi in cui mio padre è rimasto chiuso in casa e le sue condizioni psicologiche si sono aggravate notevolmente. Per lui, che già non poteva comunicare per via dell’asportazione delle corde vocali, non poter nemmeno uscire, camminare, è devastante. La sua vita non è più quella di prima e inizia a non vedere più la luce in fondo al tunnel.
Facciamo l’ultima telefonata in ospedale, ma dobbiamo attendere ancora un po’, un’altra settimana dicono
Finisce anche il mese di settembre.
Inizia Ottobre.
Mio padre decide di farla finita.
Il giorno dopo un messaggio da parte del suo neurologo  “Sono costernato per quanto accaduto”.
Si può morire più volte, in più forme. Ma non c’è forma peggiore della disperazione, del ritrovarsi abbandonati a se stessi nell’impotenza più assoluta.
Molto probabilmente, se tutto fosse avvenuto nei tempi giusti, se gli fosse stata data la possibilità di iniziare la terapia che lo avrebbe portato a sentirsi meglio, a poter camminare, a poter uscire e riprendere una vita sociale minima, mio padre sarebbe ancora qui. Con me. Non è andata così. Non so bene se ad oggi, viste le condizioni in cui versa l’ospedale di Cosenza, avrebbe comunque avuto la possibilità di intraprendere la terapia. Molto probabilmente no.
Guardo le immagini del nostro Pronto Soccorso pieno, con gente ammassata ovunque. I reparti anch’essi pieni. Le visite sospese. Non posso non pensare a tutte le persone che necessitano di terapie urgenti e immediate. Che, esattamente come mio padre, non possono più aspettare. Penso ai loro familiari.
Di malasanità ci si ammala nell’anima. Di malasanità si muore.
Stefania Iantomasi