L’inferno della dialisi
Gentile direttore,
sono una persona affetta da patologie nefrologiche e da un anno sono sottoposta a dialisi tre volte a settimana presso l’ospedale civile dell’Annunziata.
Dopo aver meditato a lungo, ho deciso di denunciare pubblicamente l’inferno che sono costretta a subire nella mia malattia.
A cominciare dalla struttura fatiscente, dai lettini per la dialisi rotti e privi del sistema di pesa che consente di stabilite quanti liquidi vanno eliminati. Vicino ai letti mancano i comodini e i campanelli d’allarme. L’ambiente della dialisi dovrebbe essere un ambiente accogliente e asettico ma il degrado è visibile ad occhio nudo. Finanche le mura lesionate. Sebbene il reparto si trovi al primo piano, quando piove entra acqua.
Solo il personale infermieristico posso lodare in mezzo a questo inferno perché portano avanti il reparto con umanità e professionalità nonostante il degrado e la carenza di mezzi.
Sono una persona ancora giovane, potrei quindi aspirare ad un trapianto renale ma dopo più di un anno non mi è mai stata fatta la “tipizzazione” per stabilire se ci sono i margini per un trapianto ed eventualmente mettermi in lista d’attesa. Nessuno riesce a darmi una risposta.
I livelli di assistenza minima per i dializzati a medio-lungo termine prevederebbero anche un adeguato supporto psico-sociale per le inevitabili ripercussioni che la dialisi comporta sulle abitudini e ritmi di vita. Generalmente dovrebbe essere una equipe di operatori ad affiancare il malato cronico costituita da medici, infermieri, psicologi, operatori sociali che organizzano gli spostamenti o le sedute di dialisi in altre sedi se la persona in dialisi ha necessità o voglia di fare un viaggio, nutrizionisti che suggeriscono una dieta appropriata alla nuova condizione di vita e monitorano le risposte del paziente alla variazione della dieta. Dell’equipe dovrebbe far parte anche il chirurgo trapiantista per valutare la possibilità di un trapianto.
Voi credete che a Cosenza esiste tutto questo?
Spero che questa mia lettera costringa chi di dovere a dare risposte e soprattutto a prendere provvedimenti affinché i dializzati, spesso a vita, possiamo vivere con serenità la nostra malattia.
Lettera firmata