Egregio direttore,
mi rivolgo alla sua testata giornalistica (rimasta ormai una delle poche fonti di libertà di espressione in questa nostra Calabria) perché ogni vita ha un valore, sia essa quella di qualche potente notabile o quella di un povero Cristo senza nessuno al mondo.
In questi ultimi giorni, come si sa, la sanità vibonese è tornata nuovamente alla ribalta delle cronache per l’ennesima tragica vicenda di malasanità che ha avuto quali vittime innocenti una giovane madre e il piccolo che portava in grembo. Come se non bastasse, una catena di ulteriori gravi episodi e situazioni stanno ancora adesso avvenendo nel Vibonese, con il rischio che quel minimo di assistenza sanitaria presente cessi completamente.
A parte questa obbligata premessa, le scrivo qui oggi per accendere un faro su un episodio accaduto poco tempo fa. Nelle stesse ore in cui lei è stato vittima di una brutale aggressione da parte di alcuni uomini in divisa, nell’ospedale di Tropea un uomo di 46 anni, originario del Ghana e residente a Santa Domenica di Ricadi, ha perso la vita dopo un controverso iter sanitario attualmente al centro di un’indagine.
Per maggiore chiarezza, cito qui quanto riportato in quei giorni dalla Gazzetta del Sud: “Il 46enne, trovato in strada in preda a un malore, era stato soccorso dal 118 e trasportato all’ospedale di Tropea, dove la sua condizione non sarebbe stata subito riconosciuta. Dopo un periodo di attesa su una barella, i sanitari avrebbero disposto le dimissioni. Tuttavia, l’uomo si è rifiutato di lasciare la struttura, portando il personale medico a richiedere l’intervento dei Carabinieri. Solo in seguito, con una seconda valutazione, è stato accertato che il paziente aveva subito un ictus. A quel punto, è stato disposto il trasferimento d’urgenza all’ospedale “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro, ma per lui non c’è stato nulla da fare: è deceduto poco dopo l’arrivo. La gestione del caso solleva interrogativi, e i Carabinieri del Comando di Tropea hanno avviato accertamenti per chiarire eventuali responsabilità. L’attenzione degli inquirenti si concentra sulla prima valutazione effettuata in ospedale e sulla decisione iniziale di dimetterlo. Elemento chiave per far luce sulla vicenda sarà l’esito dell’esame autoptico”.
Fin qui la nuda e cruda vicenda che attende ancora una prima risposta da parte della magistratura. Ma, come lei ben sa, se il Tribunale di Cosenza viene da lei definito il “porto delle nebbie”, quello di Vibo Valentia non brilla certo per trasparenza. A parte il sacerdote del luogo e alcuni residenti, del caso di questo povero Cristo a Vibo e dintorni non se ne parla più e il sospetto è che non se ne voglia più parlare.
Sappia, caro direttore, che mentre lei veniva vigliaccamente ammanettato, nelle stesse ore un umile uomo, senza santi in paradiso, veniva abbandonato sul lettino di una stanza di ospedale. Se non fosse stato per l’onestà e il coraggio di una dottoressa di turno, il poveretto sarebbe certamente morto ancora prima di essere trasferito, anche se ormai inutilmente, all’ospedale di Catanzaro. Infatti alla fine il decesso è avvenuto ugualmente.
Caro direttore, in questa orrenda vicenda ci sarebbero tanti punti oscuri e da chiarire, ma la domanda è: la Procura avrà la volontà e il rigore di fare chiarezza sul caso o, invece, per il fatto che la persona deceduta fosse solo un povero immigrato senza nessuno che pretenda per lui giustizia, la vicenda passerà nel dimenticatoio e poi derubricata come un normale e casuale decesso? Noi saremo lì ad aspettare…
Lettera firmata