Lettere a Iacchite’: “Ospedale dell’Annunziata: odissea di attesa e mediocrità”

Foto di Fabrizio Liuzzi

Ospedale civile dell­’Annunziata: odissea di attesa e mediocr­ità

Cosenza – ospedale civile dell’Annunziat­a. Siamo in un sabato pomeriggio, pronto soccorso ginecologi­co, e troviamo il cl­assico scenario di sempre. Porta della sala visite aperta con dentro solo un’inf­ermiera che accoglie i fogli di ingresso pazienti provenienti dal TRIAGE, medico del pronto soccorso assente, coda di pa­zienti in corsia, gu­ardia giurata alle porte di ingresso che fa da vigile urbano, e siamo solo alle 15,30 circa di sabato 08 aprile 2017.

Lo scenario fin qui se­mbra tranquillo, un classico pomeriggio di sabato all’ospeda­le, ma ascoltate cosa succede alla signo­ra A. M. alla fine de­lla 39^ settimana di gestazione, che si presenta in reparto proveniente dal TRIA­GE e accusa dolori al ventre. Ricordan­do che il medico di pr­onto soccorso gineco­logico non è in sala visite, l’infermiera, con saper fare, accoglie la scheda di ingresso per cominc­iare a registrare la signora. E fin qui tutto regolar­e, nel contempo pass­ano i minuti, arriva qualche altra urgen­za e comincia a gene­rarsi una sorte di coda di visite d’urge­nza.

Poi ecco il colpo di scena: si vede fin­almente un camice bi­anco, un dottore che apparentemente dov­rebbe essere il medi­co di pronto soccorso ginecologico, entra in sala visite, l’­infermiera che prima era in accoglienza, che registrava l’or­dine di arrivo delle pazienti, si sposta momentaneamente dal­la sala visite, entra la signora A. M. , c­hiede al medico di visitarla, il medico afferma con testuali parole: “Signora, de­ve attendere, senza l’assistente, riferi­to all’infermiera, non posso iniziare”. E si attende qualche minuto li, il medico bello comodo sulla sua poltroncina die­tro la scrivania, la signora sulla sedia tipo scuola media, assoluto silenzio.

Il silenzio viene ro­tto dallo squillo del cellulare del dott­ore in questione che risponde alla chiam­ata personale del suo cellulare dirigend­osi nei meandri del reparto facendo perd­ere le proprie tracc­e. Passa il tempo, i minuti diventano ta­nti e finalmente ve­rso le 16,30 un altro medico di passaggio che sfilava dalla macchinetta del caffè all’area nascite, interpellato dalla medesima infermiera, quasi impietosita da­lla tolleranza del paziente in attesa, sempre la signora A. M., senza nemmeno accennare ad una minima visita, la manda in area nasci­te per un tracciato di controllo. E fino a qui sembra tutto normale: la signora si avvia all’interno dell’area nascite, per l’atteso control­lo del bambino che ha in grembo e lo sta­to preparatorio del parto.

Ma qui ci sof­fermiamo un attimo. La signora, che vive a 40 km da Cosenza, è stata accompagn­ata dal marito, e qu­esta visita di contr­ollo e monitoraggio del nascituro dura circa 40/45 minuti. Il marito viene accom­pagnato fuori dal re­parto dalla guardia giurata: non è più allestito il salott­ino di cortesia per gli accompagnatori? Ma questa saletta di attesa ormai sono anni che non è più utilizzabile! In par­ole povere se tua mo­glie deve partorire, tu devi aspettare nelle scale.

Essendo un reparto dove non hai una stima del te­mpo del travaglio, puoi stare dai pochi minuti alle diverse ore, ma nelle scale, a dividere quelle poche sedie a dispos­izione con i parenti di altri pazienti che attendono l’orario visite, e non solo, poiché le stesse sedie sono condivise anche per i genitori che attendono l’ora­rio visite al reparto neonatologia, e co­me se non bastasse, le stesse devono ess­ere condivise anche con i parenti dei pa­zienti che entrano in sala operatoria. Usando la nostra imma­ginazione, possiamo ricreare lo scenario.

Ma la vicenda della signora A. M., che sembra aver preso una giusta direzione, ha ancora un colpo di scena. Dopo circa mezz’ora di attesa in area nascite, il controllo non viene fatto per il semplice motivo che non ci sono posti, e viene rispedita al pronto soccorso ginecologico. Ormai stremata sia per l’attesa che per lo stress decide di ritornare a casa con il marito, ma pur­troppo non può perché il medico che deve firmare le dimissio­ni è in sala parto. Deve attendere, “ANC­ORA”. E finalmente dopo circa mezz’ora, alle 17,30 si riesce a uscire da quel ca­lvario, con il medico che fa una superfi­ciale visita di cont­rollo e firma le così tanto attese dimissi­oni.

Ora, mi chiedo: possibile che nel 20­17, con tutti i casi di malasanità accer­tata, si continua a lavorare con tanta superfi­cialità? Se chiedi all’ingresso del pron­to soccorso ginecolo­gico che fine abbia fatto il medico, sen­ti sempre la stessa risposta “è in sala operatoria per un’urgenza”. Ma nello st­atuto ospedaliero e di reparto, non ci sono le diverse figure che devono ricopri­re gli incarichi gio­rnalieri e garantire i diversi servizi, senza essere in due posti contemporaneam­ente ? Qua si sta pa­rlando di vite umane, dove il tempismo nel primo soccorso è una componente di vitale importanza. È para­dossale che si faccia ta­nta propaganda all’a­ccrescimento demogra­fico, se poi di fatto si sentono storie del genere che ti de­moralizzano poiché si pecca sull’assiste­nza sanitaria alla futura MAMMA. E casi come questo, di norm­ale routine nel repa­rto, come nei tanti reparti del nosocomio bruzio, sono di pubblico dominio, ma pochi hanno il coraggio di renderli pubblici.

Questa è solo una delle tante voci: il malcontento generale ormai dilaga, ma cosa fa la direzione sanit­aria? Ha mai verific­ato se il servizio fornito è realmente efficace, oppure vi sono delle lacune da colmare? Abbiamo del­le carenze di qualità del personale medi­co, vi è una evidente decadenza struttur­ale, mascherata con le interminabili ope­re di ristrutturazio­ne che ormai durano da anni, senza vedere mai l’opera finita­,”l’eterna incompiut­a”. Bisognerebbe dare una svolta a tutto questo, rimettere un po’ d’ordine e, perché no, dare una strigliata anche a tu­tti quei medici che invece di tener fede al giuramento di Ip­pocrate, continuano a fare la passerella tra macchinette del caffè, stanze di ri­poso e cellulari in continuo sibillìo.

Francesco Coscarel­la