“Libertà di parola in Italia a rischio: il caso Carchidi e la satira di Fabbri”

Fonte: Bollettino Samizdat-Blog Magozine (https://magozine.substack.com/p/liberta-di-parola-in-italia-a-rischio)

Marzo 2025, Cosenza. L’immagine è cruda, brutale: un uomo con le mani legate dietro la schiena, il volto premuto contro l’asfalto ruvido. Non una scena da un regime lontano, ma dall’Italia. Quell’uomo è Gabriele Carchidi, un giornalista calabrese che ha avuto il coraggio di puntare il dito contro la questura della sua città, l’audacia di scrivere ciò che vedeva.

Oggi, Roma. L’atmosfera è diversa, più intima ma non meno incisiva. Non un palco, ma un microfono che propaga onde sonore cariche di ironia. Protagonista, Daniele Fabbri un comico satirico la cui arma è l’ironia. In un suo podcast, si è permesso una battuta sulla Presidente del Consiglio. Nessun insulto, solo la lente deformante della satira. Eppure, oggi rischia una condanna per diffamazione e un risarcimento che sfiora i 20.000 euro.

Due storie distanti geograficamente, apparentemente diverse nella forma. Ma se guardiamo più a fondo, emerge un filo rosso inquietante che le lega indissolubilmente: il potere che si erge a baluardo contro le voci scomode, contro chi osa dire troppo, o forse, troppo chiaramente.

Il giornalismo d’inchiesta, con la sua lente critica sulla realtà, e la satira, con la sua capacità di smascherare l’assurdo attraverso l’amarezza di un sorriso, non sono crimini. Sono pilastri di una società democratica, sentinelle che vigilano sul potere e danno voce a chi non ne ha. Ma in questa Italia del 2025, la linea tra critica legittima e reato sembra farsi sempre più labile, pericolosamente sottile.

Ricordiamo con orrore le immagini di George Floyd, un’ingiustizia che ci sembrava lontana. Ma la verità è che il nostro Paese porta ancora le cicatrici di Stefano Cucchi, di Federico Aldrovandi, di Giuseppe Uva – storie in cui la giustizia ha faticato a farsi strada e le istituzioni hanno spesso eretto muri di silenzio.

Gabriele Carchidi, con il volto sull’asfalto, non è un caso isolato. La sua “colpa”? Aver raccontato ciò che accadeva all’interno di un luogo che dovrebbe garantire la sicurezza dei cittadini. La risposta? Un fermo, una denuncia, un tentativo di silenziare la sua voce.

Allo stesso modo, Daniele Fabbri ha usato l’arma più potente e democratica che esista: la risata intelligente. La satira non è gratuita cattiveria, ma uno strumento affilato per stimolare il pensiero critico, per mettere in discussione certezze, per farci guardare la realtà da prospettive inaspettate. Punire la satira significa imbavagliare il dissenso, anestetizzare la riflessione.

Non vi sembra che si stia creando un clima in cui chi detiene il potere si senta sempre più legittimato a zittire le voci critiche?

L’intimidazione oggi in Italia non passa necessariamente per la censura diretta, ma si insinua subdolamente attraverso la minaccia di denunce, di costosi e logoranti processi. Chi ha risorse economiche e potere può permettersi di intentare cause, sapendo che per un giornalista indipendente o un artista satirico, anche solo difendersi rappresenta un peso enorme in termini di tempo, energie e denaro. Spesso, l’obiettivo non è vincere la causa, ma fiaccare l’avversario, spegnere la sua voce.

Non possiamo permetterci di rimanere a guardare. Non possiamo voltare la testa di fronte a queste storie che minano le fondamenta della nostra democrazia. Oggi tocca a un giornalista in Calabria e a un comico a Roma, ma domani potrebbe toccare a chiunque osi esprimere un’opinione non allineata, a chiunque racconti una storia scomoda, magari la tua.

È il momento di agire, di far sentire la nostra voce.

Cosa puoi fare concretamente:

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  • Difendi la satira: Segui Daniele Fabbri, partecipa ai suoi spettacoli, diffondi i suoi contenuti. Fagli sentire che non è solo in questa battaglia.
  • Parla: Non aver paura di esprimere la tua opinione, di condividere questo post, di alimentare il dibattito. Il silenzio è il miglior alleato di chi vuole soffocare la libertà.

Non lasciamo che l’asfalto di Cosenza e le risate amare di un podcast diventino il simbolo di un’Italia in cui la libertà di parola è un lusso concesso, non un diritto inviolabile. Il futuro della nostra democrazia passa anche da qui.

Cosa ne pensate di queste vicende?