L’Italia dopo il voto: un polo c’è. E l’altro? (di Marco Travaglio)

di Marco Travaglio

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Matteo Salvini è il vincitore delle Europee in Italia, anche più della sua camerata Marine Le Pen in Francia: infatti ha preso fra i 10 e i 15 punti in più rispetto alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 e, da terzo partito italiano, è diventato il primo. E, a dispetto dei sondaggi e dai primi exit poll che lo davano in frenata, non ha pagato più di tanto i numerosi errori commessi in campagna elettorale, anche se qualche mese fa era dato dai sondaggisti oltre il 35% (con punte del 37,7% e, in una rilevazione riservata, addirittura oltre il 40). La foto col mitra a Pasqua, il convegno degli ultrà catto-sessisti a Verona, il libro con Casa Pound, le sparate di estremissima destra, la demenziale campagna contro la cannabis legale, la gaffe sui migranti clandestini ridotti a capocchia da 600mila a 90mila, la difesa dell’indifendibile Siri, l’imbarazzo per la nuova Tangentopoli forzaleghista in Lombardia, gli attacchi a Conte (unico politico italiano più popolare di lui) hanno spaventato diversi elettori moderati, passati alla Meloni e al redivivo B. Ma soprattutto hanno ridestato dal letargo molti elettori di sinistra, che si sono convinti in extremis a votare Pd non tanto per dire di sì a Zingaretti, ma per dire di no a Salvini. Ora, anche se le cose potevano andargli ancora meglio, ha sfondato il muro del 30% (sei anni fa era al 5) e ribaltato gli equilibri dei giallo-verdi, che restano sopra il 50%, ma con la Lega sopra il 30% com’erano prima i 5Stelle, e questi sotto il 20, com’era prima la Lega. Dunque, se resisterà alla tentazione di andare all’incasso rovesciando il governo per votare subito, farà pesare la sua primazia sull’alleato fortemente indebolito. E tenterà di imporre i suoi cavalli di battaglia, dalla Flat Tax al Tav alle norme incostituzionali del decreto Sicurezza-bis e delle autonomie regionali.

5Stelle. Il 20%, decimale più o decimale meno, rappresenta il minimo storico degli ultimi sei anni, addirittura sotto le disastrose Europee 2014: una cocente sconfitta. Aggravata dall’handicap psicologico del sorpasso del Pd, che li vede retrocedere in soli 14 mesi da primo a terzo partito italiano. Evidentemente il contrattacco aggressivo, identitario e antileghista di Di Maio&C. in campagna elettorale ha evitato guai peggiori (sennò oggi il M5S sarebbe al 15%). Ma non è bastato a frenare la picchiata di un movimento in crisi di identità, costretto a fare l’opposizione della maggioranza di cui è pur sempre il primo azionista (i voti in Parlamento restano quelli del 2018). Soprattutto in un clima da guerra fredda aizzato dalla grande stampa sul vecchio asse destra-sinistra, fascismo-antifascismo, che ha poco fondamento nella realtà, ma ha mobilitato più gli elettori di sinistra che quelli dei 5Stelle, post-ideologici e per giunta confusi e disorientati da un movimento che salva Salvini dal processo Diciotti e subito dopo chiede i voti sulla legalità e la questione morale.

Pd. Toccato il minimo storico del suo zoccolo duro nel 2018, con l’ultima fase del renzismo, ha dovuto fare pochissimo per recuperare qualche punto (poco più della somma dei transfughi bersaniani, dalemiani e boldriniani di LeU rientrati all’ovile): trovarsi in segretario normale, sanza infamia e sanza lode, ma educato e rassicurante, come Zingaretti. Che finora si è giovato di un unico, ma incommensurabile vantaggio: non essere Renzi e non somigliargli neanche un po’. Si vedrà se, ora che guadagna voti e si conferma secondo partito (ma dietro la Lega e davanti al M5S), vorrà contare qualcosa dialogando con l’unica forza non salviniana di peso: cioè i 5Stelle messi a dieta. O se continuerà a raccontarci le sue due favole preferite: e cioè che Lega e M5S pari sono e che è tornato il bipolarismo. Oggi come ieri, pur con equilibri diversi, l’Italia è tripolare: le destre sopra il 40 e due forze non di destra attorno al 20. Che si può fare per risparmiare all’Italia un governo Salvini-B.-Meloni? Non ci vuole uno scienziato per scoprirlo.

Governo Conte. Non aveva alternative ieri e ne ha ancor meno oggi. In questa legislatura. Forse Salvini e la Meloni speravano di spartirsi le spoglie del fu Caimano: crescono entrambi ma FI sopravvive, sia pur dimagritissima, oltre ogni aspettativa, viste le condizioni del leader e del partito. Quindi delle due l’una: o Salvini fa saltare il banco e si presenta con la Meloni (da soli, supererebbero il fatidico 40% del Rosatellum); o lascia Conte dov’è e pretende un rimpasto e un nuovo Contratto per contare di più, almeno fino a dopo la finanziaria per evitare un nuovo boom dello spread.

Sull’altro fronte, i suoi avversari devono guardarsi dall’accelerare la crisi e il voto subito. Sperare che Salvini si logori. E cercare intese parlamentari su leggi utili e popolari, per costruire un’alternativa. Sempre più difficile, sempre più doverosa.