Ha avuto grande risalto mediatico il terribile omicidio del 31enne calabrese Francesco Citro a Villanova di Reggiolo, in Emilia. Ci sono ormai ben pochi dubbi sulla matrice mafiosa dell’esecuzione. Noi abbiamo seguito il caso riportando quanto scrivono i media emiliani, che giustamente riportano quella che ritengono la verità. E riteniamo perfetto il ragionamento del direttore della Gazzetta di Reggio, che nel commentare il tutto titola in maniera significativa: “Qualcosa di clamoroso sfugge”.
di Stefano Scansani – direttore Gazzetta di Reggio
“Mamma mia, c’è d’avere paura per davvero, ora”, “Ho sentito una sparatoria, state tutti bene?, Cavoli, ma dove ci troviamo? Avete chiamato i carabinieri? L’ambulanza? Cristo”, “Vogliamo che le autorità ci dicano cosa sta succedendo. Se possiamo stare tranquilli”.
(commenti da Facebook)
REGGIO EMILIA. Mettiamola così: il Reggiano è un pianerottolo. Quei pochi e affollati metri quadrati dove giovedì notte è stato ammazzato Francesco Citro sono la prossimità con la quale il nostro territorio sta vivendo il peggior male. Cioè l’uccisione di un uomo.
Passatemi la cautela sulla matrice, ma ancora gli inquirenti non hanno confermato ufficialmente quel bandolo che porta alle matasse della mafia oppure dell’ordinaria criminalità. Il peggior male, comunque, perché nella stessa sera e in tempi contratti è capitato tutto ciò che incarna l’avvertimento, la spietatezza, l’esecuzione, la punizione.
Crimini che di solito osservano manuali, calibrature, e crescendo lunghi, rituali. Ad esempio l’ultimo tentato omicidio con analoga dinamica risale a sette anni fa, mentre bisogna tornare al 1992 per ritrovare delitti similari. Ma stavolta l’avvertimento, cioè l’auto a fuoco nella piazza e la tanica del liquido infiammabile esposta, è pressoché coinciso con l’epilogo del sangue.
Fiamme. Sette colpi di pistola. Per le scale. Sul pianerottolo. Sulla soglia di casa. Villanova è un niente di case. Di là la chiesa, il campanile e due autovelox arancioni che bucano la nebbia. In mezzo lo stradone che arriva da sotto l’autostrada e punta su Moglia.
Di qua le case nuove, via Giovanni XXIII, e la corte dove abitava Citro. Corte di costruzione recente, faccia a vista e gialla, con un carattere più alpino che valpadano. In mezzo c’è la piazza, il parcheggio. Sotto la corte la teoria dei garage.
Sull’asfalto parlano le tracce bianche dell’incendio, della polvere dell’estintore. Non c’è un’anima. Allora ti chiedi perché tutta questa tragedia in un posto tanto distante, fradicio, che sa di terra. Ogni cosa è una frontiera, anche la plastica dei nastri bianchi e rossi tesi dai carabinieri fra i lampioni.
Le tre ore che sono intercorse tra l’incendio appiccato all’auto e l’omicidio, tra ciò che ha avuto in mente il killer e ciò che ha fatto Citro in casa sua, serrano i segreti della notte di Villanova. Frazione di Reggiolo, Bassa che nel piacere letterario diventa confinaria e profonda, e che nel rigetto della tragedia si congela nei commenti letti su Facebook che ho riportato sotto il titolo.
Sembra una sceneggiatura cinematografica, vero? No, è la gente che ansima sui social, sono le frasi in diretta dei vicini d’appartamento e dei compaesani di Citro. Il mondo virtuale trapassa nella realtà che inevitabilmente collega l’omicidio al contagio mafioso che è penetrato proprio in quella Bassa quasi lombarda che gli intellettuali nei grand tour di fine Settecento definivano “un morbido paese”.
Un luogo ultrapiatto lavoratore, beffardo e testardo, che allora aveva di malsano solo l’aria. Allora.
Se di atto mafioso si tratta, quello della notte di Villanova sarebbe epocale. Ricadrebbe sulle dinamiche del processo Aemilia, i recenti pentitismi e le fibrillazioni. Confermerebbe un ritorno alle vecchie maniere dei gruppi di fuoco. Proverebbe l’idea che qualcosa va modificandosi fuori dal palazzo di giustizia.
Mi spiego: il processo tratta un segmento di storia avvenuta e non ha potere di impedire, combattere ed esaurire la mafia che sta fuori, le sue modificazioni e gli assetti di potere. La vicenda reggiolese è così anomala da fare immaginare un cambio di strategia.
L’assenza del sangue sino al giorno di San Prospero 2017 ci aveva indotti a credere che la mafia si fosse incivilita – incredibile da scrivere – badando solo agli affari, assumendo le buone maniere, le reti persuasive nell’invisibilismo.
Il malaffare sistemico infatti ama tranquillità e penombra (perché “non esiste”). Il fuoco e i colpi di pistola di giovedì sera ne hanno infranto l’habitat più congeniale. E questo deve fare riflettere, analizzare quel che va capitando nella nostra provincia.
L’azione finale che ha sconvolto Villanova è stata anticipata dalla progressione degli incendi appiccati alle auto: uno il 15, un altro il 21, l’ultimo il 23 poco prima della sparatoria. In una simile stretta sequenza di eventi e pressioni investigative è avvenuto l’omicidio. Il killer ha operato nonostante. Una sfida temeraria. Qualcosa di clamoroso sfugge.
Il processo Aemilia procede e si ramifica via via con le dichiarazioni dei pentiti. Contemporaneamente questa nuova stagione processuale sta sgretolando i clan. Fuori, sul pianerottolo reggiano, dove l’apprensione è grande, serve una presenza potente dello Stato e quindi la vigorosa attenzione e partecipazione dei cittadini. Perché ci risiamo. Perché è tornato il peggior male.