Mafia e ‘ndrangheta: Messina Denaro, la Calabria e la latitanza

ARTICOLO DEL 18 MARZO 2019
Era in Calabria ed e’ tornato“. Matteo Messina Denaro avrebbe trascorso un periodo della latitanza in Calabria. Lo rivelava, non sapendo di essere intercettato, uno degli arrestati nel blitz disposto dalla Dda di Palermo che qualche anno fa ha fermato 22 tra boss e fiancheggiatori del capomafia ricercato. Chi parlava aggiungeva che il padrino di Castelvetrano avrebbe incontrato “cristiani” (persone ndr). Durante la conversazione i due commentano il contenuto di un pizzino in cui ci sarebbero state scritte le decisioni del latitante su alcuni temi. Il biglietto non e’ stato trovato dagli inquirenti che intercettavano il dialogo: Messina Denaro ha ordinato ai suoi di distruggere sempre i pizzini. Dall’inchiesta emerge che il boss continua a comunicare cosi’ con i suoi, ma nessun messaggio e’ stato recuperato. “Nel bigliettino e’ scritto lo vedi? Questo scrive cosa ha deciso quello ha detto“. Dalla conversazione viene fuori che la madre di Messina Denaro si lamenta dell’assenza del figlio. “La madre di Matteo … che lui non scrive si lamenta, lui deve scrivere .. vorrei vedere a te. Non gli interessa niente di nessuno“.
Si tratta dell’ennesima conferma. Già tempo fa il particolare della latitanza in Calabria era trapelato sui media.
La pista nelle parole del pentito Paternuosto
di Antimafia Duemila (antimafiaduemila.com)
Dove si nasconde il superlatitante Matteo Messina Denaro? C’è chi sostiene che ha cambiato volto e voce per sfuggire alla cattura, chi dice che è in Sicilia, nella sua terra, chi ritiene che si sia recato all’estero, in Sudamerica. Sfuggito alla cattura dal 1993, condannato per le stragi del 1993 ed oggi imputato a Caltanissetta anche per quelle del 1992. Tra i possibili luoghi dove il boss di Castelvetrano potrebbe nascondersi non si esclude la Calabria.
Una pista che si ricava dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia calabresi che hanno raccontato dei rapporti tra la ‘Ndrangheta e Cosa nostra.
Nel maggio 2001 il pentito Luigi Paternuosto ha raccontato all’allora procuratore aggiunto di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, di aver appreso di rapporti esistenti tra il boss cosentino Domenico Cicero (ergastolano) ed il Capo dei capiSalvatore Riina. Un rapporto che sarebbe nato in carcere dove il capomafia corleonese avrebbe persino “poggiato un braccio sula spalla di Cicero” in segno di considerazione e fiducia.
A riportare le parole del collaboratore di giustizia è stata La Gazzetta del Sud“Qualche tempo dopo – aggiunse Paternuosto – notai all’esterno della pizzeria dove lavoravo, delle persone che non conoscevo e che riuscii a intraveder solo di profilo. Vidi questi due parlare con persone legate a Cicero le quali, quando andarono via, mi confidarono che si trattava di due emissari di Salvatore Riina Matteo Messina Denaro che, in considerazione dei buoni rapporti, erano venuti per comprare degli appartamenti. So che questo affare andò in porto ma non so indicare quali siano questi appartamenti”.
Dario Notargiacomo
Un legame, quello tra siciliani e calabresi, che era già forte negli anni Novanta quando lo stesso Riina trascorse proprio in Calabria un periodo di vacanza. Non solo. Secondo il collaboratore di giustizia Dario Notargiacomo Giuseppe Graviano ci chiese la disponibilità di un alloggio in Sila da destinare alla latitanza di Totò Riina”. Era tutto pronto per il “trasloco” ma poi il capomafia corleonese preferì restare in Sicilia. Resta la certezza di un filo diretto Calabria-Sicilia. Un canale rafforzato anche da crimini come l’uccisione del giudice Antonino Scopelliti, morto in un agguato a Campo Calabro il 9 agosto 1991. Un legame che resta forte ancora oggi. Nel 2013 gli investigatori di Palermo e Trapani, alla ricerca di Messina Denaro, eseguirono delle perquisizioni proprio alle porte di Cosenza, ma senza fortuna.