Malagiustizia, il caso Iacchite’ su Ossigeno (per l’informazione)

Il caso Iacchite’ su Ossigeno.

Ossigeno è un acronimo: OSservatorio Su Informazioni Giornalistiche E Notizie Oscurate. Il nome richiama un concetto elementare: ogni società libera e democratica ha bisogno vitale di libertà di informazione e di espressione come il corpo umano ha bisogno di ossigeno.

L’Osservatorio è stato istituito nel 2008 con il patrocinio della FNSI e dell’Ordine nazionale dei Giornalisti per documentare e analizzare il crescendo di intimidazioni e minacce nei confronti dei giornalisti italiani, in particolare contro i cronisti impegnati in prima linea nelle regioni del Mezzogiorno, nella raccolta e diffusione delle informazioni di pubblico interesse più scomode e, in particolare, nella ricerca delle verità più nascoste in materia di criminalità organizzata. L’Osservatorio ha l’obiettivo di accrescere la consapevolezza pubblica di questo grave fenomeno che limita la libertà di informazione e la circolazione delle notizie. Ossigeno è consulente dell’Osce e della Commissione Parlamentare Antimafia . Ha collaborato con la Fondazione Polis di Napoli alla realizzazione del progetto “In viaggio con la Mehari”.

L’Associazione di volontariato ONLUS  “Ossigeno per l’informazione” è stata costituita nel 2011 e dal 10 luglio 2012 è iscritta al Registro del Volontariato della Regione Lazio con il numero BO4243 – Presidente onorario Sergio Zavoli – Soci Onorari: don Luigi Ciotti, Claudio Fava e Pietro Grasso. I soci operano per l’Associazione a titolo gratuito.

Giornale telematico. Registrazione al Tribunale di Roma n.35 del 18 febbraio 2013

Direttore responsabile: Alberto Spampinato, giornalista parlamentare

Ma ecco cosa hanno scritto di noi.

http://www.ossigenoinformazione.it/

Allarme di livello 2. Classificato da AEJ come un atto proveniente dallo Stato che ha effetti raggelanti sulla libertà dei media

di Alberto Spampinato

Il 19 maggio 2017, su proposta di Ossigeno per l’Informazione, il grave caso del giornalista italiano Gabriele Carchidi, è stato inserito come allarme di Livello 2, uno dei più gravi, sulla “Piattaforma per promuovere la protezione del giornalismo e della sicurezza dei giornalisti” ospitata dal Consiglio d’Europa. L’avviso è pubblicato con questo titolo: “Il giornalista italiano rischia di essere imprigionato per trenta mesi per diffamazione a mezzo stampa” (Leggi).

L’episodio è stato inserito da AEJ e dall’Indice sulla censura e viene classificato come un “atto che ha effetti frettolosi sulla libertà dei media”. La fonte della minaccia è lo Stato. “Di conseguenza, il Consiglio d’Europa chiederà spiegazioni al governo italiano.

Questo il testo dell’alert:
“Gabriele Carchidi, direttore del quotidiano online iacchite.com, è stato condannato da un tribunale di Cosenza, in Calabria, per un totale di 30 mesi di carcere senza sospensione della condanna, in quattro procedimenti per diffamazione fra settembre 2016 e maggio 2017. L’ultima condanna, resa in vigore il 10 maggio 2017, è il risultato di una causa proposta dal sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto, in merito ai riferimenti fatti al sindaco su Facebook. Le altre condanne si riferiscono a scritti del giornalista sul comportamento di ufficiali di carabinieri, del sindaco Occhiuto e di un magistrato di Cosenza. Gabriele Carchidi è libero mentre attende il risultato delle sue richieste di appello in tribunale contro questi quattro verdetti. Inoltre Carchidi deve affrontare anche altri processi, in cui rischia di ricevere ulteriori condanne, a seguito di più di 60 procedimenti per diffamazione, in gran parte su denunce di politici, poliziotti, magistrati e altre figure pubbliche”.

LE SENTENZE

In dettaglio le quattro sentenze del tribunale di Cosenza che hanno comminato pene detentive senza sospensione condizionale

Sono quattro le condanne per diffamazione a mezzo stampa che il tribunale di Cosenza ha pronunciato negli ultimi otto mesi nei confronti del giornalista Gabriele Carchidi, direttore della testata online www.iacchite.com, infliggendogli ogni volta – oltre alla  multa – una pena detentiva e negando il beneficio della sospensione condizionale della pena, comminando in totale due anni e mezzo di reclusione a fronte dei quali l’arresto non viene eseguito soltanto perché il condannato ha fatto ricorso e si attende che si pronunci la Corte di Appello.

La prima delle quattro condanne alla reclusione inflitte a Carchidi è stata emessa il 29 settembre 2016 dal giudice monocratico Francesca De Vuono, che ha accolto la richiesta del pm Fascino a comminare otto mesi di carcere. Il processo è nato dalla querela di quattro ufficiali dei Carabinieri in relazione a quattro articoli pubblicati nel 2012 sul periodico Cosenza Sport, in cui si riferiva la vicenda di sette carabinieri che, essendo stati trasferiti mentre indagavano sulla morte del calciatore Bergamini, avvenuta nel 1989, e impegnati nella ricerca di un latitante della ‘ndrangheta, avevano denunciato i loro comandanti per abuso d’ufficio. Il Tribunale ha stabilito che il giornalista ha rispettato soltanto in parte il requisito della continenza espressiva. Carchidi ha dichiarato a Ossigeno di essersi basato sulle informazioni ottenute dai sette carabinieri e dagli stessi confermate durante il processo.

La seconda condanna, a sette mesi di reclusione, è stata emessa il 29 marzo 2017 dal giudice Francesca De Vuono. Il processo è nato da una querela del sindaco di Cosenza.

La terza condanna, pronunciata il 31 marzo 2017, a nove mesi di reclusione, è stata firmata dal giudice Enrico Di Dedda. Il processo è nato dalla querela di un magistrato di Cosenza, criticato da Carchidi per il ruolo avuto nel processo che portò alla condanna del religioso Padre Fedele Bisceglia, accusato di violenza sessuale, e prosciolto dieci anni dopo in seguito all’annullamento con rinvio deciso dalla Cassazione.

La quarta condanna, a sei mesi di reclusione, e stata pronunciata il 10 maggio 2017 dal giudice Enrico Di Dedda, su querela del sindaco Occhiuto per le espressioni diffamatorie con le quali era stato definito su Facebook.

Carchidi deve sostenere almeno altri 64 processi per diffamazione. Le querele  stanno facendo il loro corso e presto arriveranno a sentenza, e rischiano di aggravare ulteriormente i carichi penali di questo giornalista.

Fra questi processi, c’è quello promosso oltre due anni fa dal sindaco di Cosenza che, sommando all’accusa di diffamazione quella di stalking mediatico, chiese e ottenne l’oscuramento cautelativo del sito web,  per una serie di articoli che criticavano il suo operato. Il sito è tuttora oscurato e da allora Carchidi ha proseguito l’attività informativa creando un giornale online su un sito web parallelo.

IL MANIFESTO

Anche Il Manifesto si è occupato del caso http://www.iacchite.com/arrestate-iacchite-silvio-messinetti-claudio-dionesalvi/

Il caso Carchidi è stato segnalato a livello nazionale dal quotidiano Il Manifesto, che lo ha proposto come riprova del quadro tracciato da Ossigeno per l’Informazione, sulla base di dati ufficiali forniti dal Ministero della Giustizia, nel dossier “Taci o ti querelo!” delle querele usate a scopo intimidatorio e dell’applicazione in modo non sporadico delle condanne a pene detentive. Il Manifesto ha così descritto il quadro delle accuse per diffamazione a carico del direttore di Iacchite’: 68 querele di cui 17 da imprenditori, sei da avvocati, 14 da politici (sottosegretari, consiglieri regionali, esponenti di estrema destra), sette da carabinieri e polizia, 15 da magistrati, cinque da dirigenti pubblici, quattro da editori e giornalisti.

COSENZA. GIORNALISTA CONDANNATO A TRENTA MESI, RISCHIA IL CARCERE

Il caso di Gabriele Carchidi, direttore di iacchite.com. Quattro condanne in tribunale in otto mesi senza sospensione condizionale della pena.

Negli ultimi otto mesi, Gabriele Carchidi, 52 anni, giornalista cosentino, direttore del giornale online www.iacchite.com, è stato condannato dal Tribunale di Cosenza quattro volte, sempre per diffamazione a mezzo stampa. Complessivamente gli sono stati inflitti due anni e mezzo di reclusione, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena. La prima condanna a otto mesi è stata inflitta il 27 settembre 2016. La seconda, a sette mesi, il 29 marzo 2017. La terza, a nove mesi, due giorni dopo, il 31 marzo 2017. L’ultima condanna, a sei mesi di detenzione, è stata emessa il 10 maggio 2017, a conclusione di un processo nato da una querela del sindaco della città, Mario Occhiuto.

A causa del cumulo delle condanne e della recidiva per lo stesso reato, il giornalista rischia il carcere, che potrà scattare con il passaggio in giudicato delle sentenze, come accadde nel 2012 ad Alessandro Sallusti, allora direttore del quotidiano Il Giornale (leggi).

In accordo con la giurisprudenza europea, Ossigeno considera le condanne a pene detentive dei colpevoli di diffamazione eccessive, sproporzionate e ingiuste in quanto hanno un effetto intimidatorio sull’intero mondo giornalistico. Pertanto l’Osservatorio segnala le condanne di Carchidi al carcere come esempio dell’effetto intimidatorio generale che l’applicazione della legge vigente può esplicare sulla libertà di informazione, senza con ciò condividere le affermazioni per le quali il giornalista è stato giudicato né le modalità con cui le ha espresse e senza entrare nel merito degli addebiti mossi e delle sentenze di colpevolezza pronunciate.

Carchidi ha iniziato l’attività del giornale online Iacchite’ a settembre del 2015. Da allora ha ricevuto numerose querele per diffamazione a mezzo stampa che, sommandosi a quelle nate dalla sua attività giornalistica precedente presso altre testate giornalistiche, hanno raggiunto quota 68 (leggi).

Nel 2015 fu denunciato per stalking dal sindaco di Cosenza, che chiese e ottenne il sequestro a scopo preventivo del sito web che ospitava il notiziario Iacchite’. Il sequestro preventivo è tuttora in atto. Iacchite’ ha proseguito l’attività su un sito web parallelo.

Iacchite’ ha molti lettori perché denuncia continuamente i vizi, i peccati e le connivenze di tutti, ma non gode di buona stampa, anche perché fa a pugni con i giornali locali,  accusati di far parte del sistema di potere e di tacere importanti notizia.

Nella foto: Sergio Crocco, Michele D’Elia, Claudio Dionesalvi, Gabriele Carchidi, Padre Fedele Bisceglia

Gabriele Carchidi ha dichiarato a Ossigeno:

“È chiaro che vogliono mettermi in galera. Ma non ci riusciranno. Ho subito quattro condanne, due dallo stesso giudice, e l’ho ricusato. Ho presentato appello e spero di essere assolto. Mi accusano di insultare e diffamare. Ma i miei articoli contengono accuse documentate, parlano di ruberie, di delinquenti, di cose che non si possono chiamare con un altro nome. Racconto i fatti e per questo mi accusano di insultare le persone. Ebbene sì, se dire ‘ruba’ di qualcuno che ruba vuol dire insultarlo e diffamarlo, è vero. Mi dicono anche che dovrei moderare il linguaggio, ma io già lo faccio. ‘Squallido’ e ‘viscido’ sono gli aggettivi più forti che ho usato per definire il comportamento di certe persone che mi hanno querelato. Qui a Cosenza il mio linguaggio fa molta impressione, ma non è un linguaggio più forte e aggressivo di quello che usano quotidiani quali Libero e Il Fatto Quotidiano. Perciò facciano quello che vogliono. Se finirò in galera mi dichiarerò prigioniero politico. Ma credo che non sarà necessario”.

CARCERE PER DIFFAMAZIONE. A COSENZA SPUNTA UN NUOVO “CASO SALLUSTI”

Se le condanne a Gabriele Carchidi, direttore di iacchite.com, non saranno annullate, il giornalista finirà agli arresti, come accadde nel 2012 al direttore del Giornale

Il giornalista cosentino Gabriele Carchidi rischia di dover scontare effettivamente una pena detentiva. Se ciò accadrà l’Italia sarà nuovamente sottoposta alla gogna come avvenne nel 2012, dopo l’arresto di Alessandro Sallusti: il nostro Paese venne indicato come uno dei paesi occidentali meno rispettosi della libertà di stampa.

Il direttore del giornale online www.iacchite.com ha subito quattro condanne in primo grado per diffamazione a mezzo stampa, cumulando nell’arco di otto mesi una pena a due anni e mezzo di reclusione, senza il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Il giornalista è assistito dall’avvocato Nicola Mondelli. Non è finito in carcere perché ha presentato appello e si attende che la Corte si pronunci su ciascuna delle quattro condanne. Ma che cosa accadrà se queste condanne non saranno annullate? E se nel frattempo ne saranno pronunciate altre dello stesso tenore? Si produrrà un nuovo “caso Sallusti”. O accadrà qualcosa di peggio, vista la recidiva dell’Italia?

Nell’autunno del 2012 l’incarcerazione del giornalista Alessandro Sallusti divenne esecutiva a causa di un cumulo di condanne per diffamazione a mezzo stampa divenute definitive.

Poiché la pena detentiva per i giornalisti colpevoli di diffamazione è tipica dei regimi autoritari che, in questo modo, oltre a punire un singolo operatore dei media, intimidiscono tutti i giornalisti che criticano il potere e così limitano la libertà di informazione, l’arresto del giornalista italiano determinò uno scandalo di proporzioni internazionali. Quell’ondata di riprovazione nei confronti della giustizia italiana fu fermata da un provvedimento di clemenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che commutò la pena detentiva in una multa e, contestualmente, sollecitò il Parlamento ad abrogare una volta per tutte la pena del carcere per questo reato, come richiedono anche e da tempo le maggiori organizzazioni internazionali.

Sono trascorsi oltre quattro anni da allora e quella decisione legislativa non è stata ancora adottata. Le vicende processuali di Carchidi confermano che l’appello del presidente Napolitano è caduto nel vuoto. Eppure, dal 2012 il Parlamento discute una proposta di legge che prevede di abrogare la pena del carcere per questo reato, lasciando la multa quale unica pena irrogabile. Questa proposta è stata votata e approvata già tre volte in formulazioni diverse, ma non ancora nella versione definitiva. Il disegno di legge è fermo in Senato, in quarta lettura e non riesce ad andare avanti per mancanza di volontà politica: perché alcuni settori del Parlamento vorrebbero controbilanciare queste e altre innovazioni positive previste con misure che reintrodurrebbero in altra forma le limitazioni abolite.

Forse il caso Carchidi interromperà questa situazione di stallo. Le condanne inflitte a questo giornalista dicono nel modo più clamoroso che in Italia la pena della detenzione continua a essere irrogata senza remora ai colpevoli di diffamazione a mezzo stampa (un reato in gran parte commesso da giornalisti e non sempre con dolo, come invece prescrive la legge).

Il caso Carchidi dice che ciò avviene ancora oggi, nella libera Italia, nonostante tutti gli impegni, e nonostante la giurisprudenza europea consideri la pena del carcere applicabile soltanto nei casi in cui la diffamazione si manifesti sotto forma di incitamento all’odio o alla violenza e, negli altri casi, la consideri sempre sproporzionata, eccessiva, tale da esplicare un effetto raggelante generale sull’esercizio della libertà di stampa.

Possiamo fare qualcosa adesso? O vogliamo attendere che una campagna di accuse come quella che investì l’Italia cinque anni fa ci costringa a farlo? Certamente non possiamo fingere di non vedere la valanga di condanne che avanza e che ci costringerà rispondere a queste domande.